Tribunali di tutto il mondo hanno stabilito che l’insegnamento e la pratica dello shunning costituiscono azioni tutelate dalla libertà religiosa. Hanno ragione.
di Massimo Introvigne
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Lo shunning è contrario alle leggi secolari? Nei precedenti articoli si sono menzionate due decisioni di primo grado. La prima è la sentenza che era stata emessa dal Tribunale di Gand, in Belgio, che il 16 marzo 2021 aveva comminato ai Testimoni di Geova una sanzione pecuniaria per il fatto che praticano lo shunning. Il 7 giugno 2022 la Corte d’Appello di Gand ha però rovesciato la sentenza di primo grado, affermando che l’insegnamento e la pratica dello shunning non sono illegali in Belgio. La seconda è l’ordinanza amministrativa emessa dal Governatore della Contea di Oslo e Viken, in Norvegia, il 26 gennaio 2022 con la quale si sono negate ai Testimoni di Geova le sovvenzioni statali che, come ogni anno nei precedenti trent’anni, avrebbero dovuto ricevere per l’anno 2021; le ragioni addotte sono state, nuovamente, alcuni aspetti dello shunning. Anche in questo caso i Testimoni di Geova hanno presentato appello.
Anziché la regola, queste decisioni di primo grado rappresentano delle eccezioni sorte in seno a tribunali e autorità di grado inferiore. Esiste un corpus sostanzioso di rilevanti sentenze internazionali le quali stabiliscono che l’insegnamento e la pratica dello shunning sono tutelati dalla libertà religiosa, a cui hanno diritto i Testimoni di Geova così come chiunque altro.
La prima volta che tale pratica è stata trattata in maniera approfondita fu nella sentenza emessa nel caso “Paul c. Watchtower Bible and Tract Society of New York, Inc” dalla Corte d’Appello degli Stati Uniti per il Nono Distretto nel 1987. Il tribunale riconosceva che, dopo essere stata disassociata, la ricorrente aveva subìto in alcune occasioni un trattamento spiacevole da parte di alcuni amici intimi che erano testimoni di Geova, i quali l’avevano “evitata”. Ciò nondimeno, la corte affermava che “lo shunning è applicato dai Testimoni di Geova a seguito della loro interpretazione del testo canonico [della Bibbia], e noi non siamo liberi di contestare questa interpretazione […] proibire lo shunning sulla base di una legge statale di natura civilistica limiterebbe direttamente il libero esercizio della fede religiosa dei Testimoni di Geova”.
Nel 2003, la Corte d’Appello di Varsavia, in Polonia (13 agosto, Quarta Sezione Civile, caso VI A CA/81/03), ha similmente concluso che “un tribunale non è autorizzato a verificare gli atteggiamenti degli aderenti di una qualsiasi religione quanto ai princìpi accettati dalla stessa denominazione, né a giudicare le sanzioni imposte a una persona che abbia trasgredito tali princìpi […] Ciò si applica anche al fatto che i suoi aderenti osservino gli obblighi riguardanti una data condotta nei confronti degli aderenti espulsi”.
Nel 2005 (29 agosto, “Lorincz c. Testimoni di Geova d’Ungheria”), la Corte Suprema dell’Ungheria ha osservato che “lo Stato non deve interferire con le questioni ecclesiastiche interne […] perciò le credenze e le decisioni di natura religiosa di una Chiesa riguardo a questioni etiche non sono soggette alla giurisdizione dello Stato o della corte”, e questo include l’annuncio pubblico fatto a un’adunanza di congregazione in cui si rende noto che un ex testimone di Geova è stato disassociato, nonché le relative conseguenze.
Nel 2007, la Corte d’Appello del Tennessee ha rilevato che “Le dottrine dei Testimoni di Geova e il modo in cui essi leggono le Scritture esigono che i loro aderenti ostracizzino chi è stato disassociato. Pur essendo fuor di dubbio che questa pratica abbia causato sofferenza agli Anderson [i ricorrenti nella causa], la legge non prevede un rimedio per tale danno. Ad esempio, in altri contesti e per varie ragioni, talvolta i familiari si alienano gli uni dagli altri di propria volontà, e la legge non ammette una base per un’azione legale atta a rimediare al dolore provocato da tale allontanamento. I tribunali non hanno facoltà di costringere una persona a stare in compagnia di un’altra persona”. “Lo shunning, ha affermato la corte, fa parte del credo dei Testimoni di Geova. Chi sceglie di aderire alla Chiesa accetta volontariamente il sistema direttivo della Chiesa e, in caso di disassociazione, si rende soggetto allo shunning”.
Nel 2012, il Tribunale Amministrativo di Berlino (11 dicembre, caso VG 27 K 79.10) ha preso in esame il caso di un testimone di Geova disassociato che aveva presentato un reclamo circa l’annuncio fatto a un’adunanza della congregazione che riguardava la misura adottata nei suoi confronti, dal momento che “i membri dell’associazione non debbono avere alcun contatto sociale con le persone disassociate”, e sarebbe diventato impossibile per lui “fare un picnic, festeggiare ricorrenze, praticare sport, fare shopping, andare a teatro, consumare un pasto a casa o al ristorante” con gli amici che erano rimasti testimoni di Geova. Il tribunale ha negato la richiesta, rilevando che la policy dei Testimoni di Geova su tali questioni “non è soggetta all’autorità statale” ed è tutelata dalla “libertà di religione, dalla separazione fra Chiesa e Stato e dal diritto delle associazioni religiose di autodeterminarsi”.
La Suprema Corte di Cassazione italiana ha stabilito nel 2017 che il cosiddetto “ostracismo” è anche tutelato dal principio di non interferenza. Nella sentenza si osservava che in questo caso l’“ostracismo” corrisponde a “un rifiuto di frequentazione” dell’ex membro disassociato, e che non esiste un “obbligo di tenere una condotta di segno contrario”. In effetti “doveva escludersi […] qualsiasi profilo discriminatorio”. Anche se si sostenesse che rifiutarsi di frequentare un membro disassociato costituisca “la violazione di norme di condotta civile e di buona educazione”, ciò non inciderebbe “su situazioni considerate meritevoli di tutela dal punto di vista penalistico o, in generale, sotto il profilo […] civilistico”. I singoli soggetti, e persino un’intera “categoria di soggetti”, hanno il diritto di decidere di “non avere o interrompere dei rapporti sul piano personale”, e i tribunali non hanno alcuna facoltà di indicare loro di fare altrimenti. Citando la sentenza della Suprema Corte del 2017, il 23 maggio 2021 anche il Tribunale di Roma ha affermato che l’insegnamento e la pratica dello shunning non sono illegali.
Il 9 aprile 2020, il Tribunale Distrettuale di Niigata, in Giappone (caso 2018 [Wa] 71) ha risposto a un ex testimone di Geova che aveva chiesto ai giudici di stabilire il carattere illegale della disassociazione e dello shunning che queste pratiche sono “profondamente connesse al contenuto delle dottrine e delle convinzioni religiose, ed è impossibile giudicarne la validità o la non validità a meno di non entrare nel merito di tali dottrine e convinzioni”, il che è proibito dai princìpi costituzionali.
Anche in Belgio, prima della sentenza di primo grado di Gand del 2021, il 10 gennaio del 2012 la Corte d’Appello di Mons aveva rigettato l’accusa di discriminazione in un caso di shunning, stabilendo che i Testimoni di Geova hanno il diritto di istituire le proprie regole interne. Il 5 novembre del 2018 la Corte d’Appello di Bruxelles ha confermato che una congregazione religiosa è libera di proporre ai membri le proprie norme di condotta, e che i singoli aderenti hanno il diritto di decidere di limitare le frequentazioni con un ex aderente. Il 7 febbraio del 2019 la Corte di Cassazione ha confermato il verdetto.
Queste decisioni sono coerenti nel ritenere lo shunning una pratica tutelata dalla libertà di religione e di associazione, in base a due argomentazioni distinte. La prima è che i tribunali secolari non possono interferire sul modo in cui le organizzazioni religiose decidono di autoregolarsi e di disciplinare le loro questioni interne, principio che è stato anche regolarmente affermato dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Pratiche come lo shunning sono intrinsecamente religiose, e giudicarle comporterebbe emettere un giudizio in merito alla teologia e all’interpretazione della Bibbia. Nel caso Testimoni di Geova di Mosca c. la Russia (2010), la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha confermato che i Testimoni di Geova sono una “religione nota” e ha affermato che “la caratteristica comune a molte religioni è quella di stabilire norme dottrinali di comportamento alle quali gli adepti devono conformarsi nella loro vita privata”.
La seconda argomentazione è che un tribunale non può obbligare un cittadino a frequentare qualcuno, che si tratti di parenti o di ex amici che, per qualsiasi ragione, la persona abbia deciso di non voler frequentare più. Questo principio trascende persino la libertà religiosa e attiene alla più intima sfera della libertà personale. Chi critica lo shunning cita studi di psicologia in cui si afferma che chi vi è soggetto subisce, in misura variabile, gravi danni di tipo emotivo. Alcuni di questi studi rivelano i pregiudizi anti-sette dei loro autori, ma neppure questo è determinante. Che l’alienazione da familiari o ex amici causi qualche danno a livello emotivo e psicologico è in qualche modo ovvio. Tuttavia, questo non accade esclusivamente per motivi religiosi; è un fenomeno frequente nella nostra società, e non è un ambito in cui i tribunali possano dettare una diversa linea di condotta.
I sociologi che studiano i rapporti familiari sanno che l’alienazione familiare rappresenta un crescente problema sociale. In un mondo ideale, gli ex coniugi divorziati dovrebbero mantenere un rapporto civile. I figli adulti dovrebbero continuare a mantenere un rapporto con i propri genitori, anche quando credono che questi li avrebbero dovuti crescere in maniera diversa o migliore. Naturalmente, l’alienazione familiare è inevitabile nel caso in cui il coniuge o i figli abbiano subìto violenze o abusi. Sfortunatamente, però, l’alienazione sta diventando comune anche nei casi in cui il dissenso non sia dovuto a cause così gravi.
I dissensi a carattere religioso sono solo una delle sottocategorie tra le molte cause che conducono all’alienazione. I familiari o gli ex amici potrebbero litigare furiosamente in merito alla politica, ai soldi, e persino allo sport, e smettere di parlarsi. In caso di divorzio, il coniuge che sente di aver subìto un torto da parte dell’altro coniuge potrebbe decidere di evitare per sempre l’ex marito o l’ex moglie.
Si tratta di decisioni personali in cui i tribunali non possono interferire. Un tribunale della famiglia può certo ordinare a un marito di pagare gli alimenti all’ex moglie, ma non può ordinare loro di continuare a frequentarsi e a essere amici. Similmente, un tribunale non può obbligare i testimoni di Geova a continuare a frequentare chi ha lasciato la fede o ha commesso ciò che essi considerano un peccato grave. In breve, nessuna autorità esterna può obbligare un essere umano a frequentare qualcuno che non gli va — o non gli va più — a genio.
Gli oppositori dei Testimoni di Geova potrebbero replicare che il loro fine non è quello di chiedere ai tribunali di obbligare i singoli fedeli a frequentare gli ex membri disassociati (benché, talvolta, si ha l’impressione che sia proprio questo che si richiede dai giudici). Il loro fine, dicono, è che i tribunali stabiliscano che all’organizzazione dei Testimoni di Geova sia proibito insegnare lo shunning. Questo, tuttavia, è ancora più problematico. Molte religioni hanno insegnamenti analoghi, eppure non si sente spesso dire che agli ebrei ortodossi che agiscono in maniera simile dovrebbe essere impedito di insegnare lo herem, o che ai musulmani dovrebbe essere impedito di commentare gli hadith di Muhammad intorno all’apostasia.
Poche persone negherebbero che gli autori di 1 Corinti 5: 13 (“Togliete il malvagio di mezzo a voi!”) e 5:11 (“con questi tali non dovete neanche mangiare insieme”) e di 2 Giovanni 10-11 (“non ricevetelo in casa e non salutatelo; poiché chi lo saluta partecipa alle sue opere perverse”) insegnassero una qualche forma di shunning. Alcuni sosterranno che questi passi siano storicamente condizionati e che dovrebbero essere considerati dei precetti didascalici ormai non più in vigore. Altri potrebbero fornire una diversa interpretazione degli stessi versetti biblici. Tuttavia dovrebbe risultare ovvio il fatto che, in una società democratica che sostiene la libertà di religione, il modo in cui i credenti interpretano la Bibbia e gli insegnamenti che derivano da tali interpretazioni sono questioni che possono essere dibattute tra i teologi ma che non possono essere stabilite né dalle forze dell’ordine né dai giudici.