Per Hubbard, a differenza della semplice illustrazione, la vera arte suscita sempre un contributo nella persona che la osserva.
di Massimo Introvigne
Articolo 4 di 8. Leggi l’articolo 1, l’articolo 2 e l’articolo 3.
Read the original article in English.


Quando il thetan si riconosce causa e non effetto della realtà fisica, egli (il thetan viene sempre indicato da Hubbard al maschile, sebbene pure le donne siano thetan incarnati) percepisce il mondo in un modo nuovo. Se padroneggia le tecniche appropriate, è anche in grado di produrre arte con un potenziale di comunicazione molto elevato. Hubbard ha menzionato quale ruolo gioca esattamente la tecnica in un bollettino del 29 luglio 1973, discutendo con “il defunto Hubert Mathieu”. Sebbene alcuni di coloro che più tardi hanno scritto di Hubbard non siano stati in grado di identificarlo o abbiano ipotizzato che fosse un personaggio di fantasia, in realtà Mathieu (1897-1954) era un raffinato illustratore e artista del Sud Dakota, che lavorava per riviste che Hubbard conosceva bene.
Basandosi, tra l’altro, sulle idee di Mathieu, Hubbard ha concluso che nelle arti la comunicazione (il fine) è più importante della tecnica (il mezzo), ma la tecnica non è irrilevante. Gli artisti che sono ben addestrati possono comunicare in diversi stili, anche non figurativi, e il pubblico capisce intuitivamente che si tratta di veri artisti. Percepire il mondo e rappresentarlo dal punto di vista superiore del thetan non è sufficiente.
Hubbard ha illustrato questo punto con un aneddoto, che può essere reale o fittizio. Per capire il motivo per cui alcune opere d’arte ultramoderne hanno avuto successo e altre no, decise di scrivere una storia in una stravagante “prosa caustica” tipica dei romanzieri d’avanguardia come Gertrude Stein (1874-1946) o James Joyce (1882-1941) – e non tipica di tutta la sua narrativa abituale. Hubbard inviò la storia al direttore di una rivista che aveva pubblicato alcuni dei suoi racconti brevi e, con sua grande sorpresa, ricevette i complimenti per la qualità del suo nuovo stile e fu persino invitato a colazione per festeggiare. Hubbard sostiene di aver discusso dell’episodio con Mathieu, che gli disse semplicemente: “Beh, hai dimostrato ciò che intendo dire, non c’è niente di misterioso. Fondamentalmente sei uno scrittore addestrato! Si vede bene”.


Questo è il punto centrale del bollettino tecnico del 1973 “Ulteriori informazioni sull’arte”. Tre opere d’arte moderna possono apparire molto simili. Nell’intenzione dei loro autori esse cercano anche di trasmettere lo stesso messaggio. Eppure, solo una ha successo. Perché? Secondo Hubbard (e Mathieu), l’artista di successo è quello che ha deciso di usare uno stile ultramoderno, forse astratto o surrealista, ma che sarebbe capace di produrre un dipinto convincente anche in uno stile più tradizionale. Il pubblico riconosce istintivamente che questo artista non è un ciarlatano. Lui (o lei) non ha scelto l’arte astratta perché non sarebbe in grado di produrre opere figurative decenti. Non importa quale stile usi, la sua tecnica dimostra che è in grado di farlo.
La chiave del successo nell’arte, conclude Hubbard, è “COMPETENZA TECNICA ADEGUATA, DA SOLA, A PRODURRE UN IMPATTO EMOZIONALE” (maiuscole nell’originale). È interessante notare che, per illustrare questo punto, Hubbard dà l’esempio del prestigiatore: “Se è un bravo prestigiatore è un bravo showman. Non mostra alle persone come fa i suoi trucchetti. Presenta loro una performance scorrevole e impeccabile. Questo già di per sé fornisce l’onda portante che trasferisce la sostanza delle sue azioni al suo pubblico. Per quanto ciò che il prestigiatore faccia sia ben lontano dall’essere una delle arti figurative, può darsi, tuttavia, che vi sia arte nel modo in cui lo fa. Se è bravo, le persone del pubblico vedono, prima di tutto e prima di qualunque cosa, l’ESPERIENZA TECNICA della sua esibizione. Oltre a ciò, lo vedono fare delle cose che loro non sono in grado di fare” (maiuscolo nell’originale).
L’esempio è interessante perché tra gli artisti formatisi nei corsi d’arte contemporanei di Scientology ci sono prestigiatori come Stan Gerson. L’ho intervistato nel 2018, e mi ha raccontato come cerca di applicare le regole di Hubbard sull’arte come comunicazione alla prestidigitazione. Quasi anticipando questi sviluppi futuri, Hubbard difese nel 1973 la legittimità della prestidigitazione come forma d’arte. I prestigiatori trasmettono un messaggio anche attraverso una “adeguata” competenza tecnica.


Ma “quanto sopraffina dovrebbe essere la competenza? Non molto, rispondeva Hubbard. Semplicemente adeguata”. Hubbard avvertiva ancora una volta che “Molti artisti si stanno strapazzando per ottenere una qualità molto al di sopra del necessario per produrre un impatto emotivo”.
Una volta acquisita la tecnica, l’artista dovrebbe sentirsi abbastanza sicuro da concentrarsi sulla comunicazione del messaggio e sperimentare qualsiasi stile lui o lei consideri appropriato. Il pubblico, colto o meno, riconoscerebbe comunque la vera arte.
In due bollettini tecnici del 26 settembre 1977 e del 15 aprile 1979, Hubbard ha fatto un ulteriore passo avanti nella sua teoria dell’arte come comunicazione, proponendo una distinzione tra arte e illustrazione. Hubbard potrebbe aver risentito del fatto che Mathieu, di cui aveva un’alta opinione, sia sempre stato liquidato dalla critica come un semplice “illustratore”. D’altra parte, Hubbard non aveva un’opinione altrettanto alta dei critici: “Generalmente non si richiede nulla a una ‘autorità’, scriveva, se non l’indicazione di cosa sia giusto, di che cosa sia sbagliato, di che cosa sia valido, di che cosa sia negativo, di che cosa sia accettabile o di che cosa non sia accettabile. Troppo spesso. Le uniche qualifiche di un’autorità (come avviene nell’insegnamento scadente di alcune materie) consistono in una lista imparata a memoria di oggetti e dei loro creatori, accompagnata da date e da una vaga idea di ciò in cui consiste l’opera”.
Un principio chiave del pensiero di Hubbard è che gli errori nascono quando le parole non sono definite. Le arti figurative e la semplice “illustrazione”, e le arti buone e cattive, si distinguono in base al “mero ‘gusto personale’, agli standard contemporanei e, sfortunatamente, anche l’invidia o la gelosia”. Gli standard “contemporanei” sono in gran parte arbitrari e Hubbard chiama questa critica “invalidante” o “distruttiva”, da non confondere con la critica “costruttiva”, che identifica i problemi nella comunicazione dell’artista e suggerisce “un modo migliore per fare la cosa”.
In effetti, Hubbard ritiene che la differenza tra arti figurative e illustrazione possa essere chiaramente definita, ma solo se prendiamo in considerazione sia l’artista sia il pubblico. La vera arte suscita sempre un contributo da parte di coloro che l’osservano o l’ascoltano e ne fanno l’esperienza. Per “contributo” si intende “aggiungere del proprio alla cosa”. Invece nell’illustrazione non viene sollecitato alcun contributo da parte del pubblico.


La distinzione può sembrare oscura e Hubbard cerca di spiegarla con un esempio: “Un’illustrazione è ‘scontata’ quando rivela tutto ciò che c’è da sapere. Supponiamo che un’illustrazione ritragga una tigre che si avvicina a una ragazza incatenata. Non ha molta importanza quanto bene il dipinto sia stato eseguito, esso rimane un’illustrazione ed è scontato. Ma, adesso, prendiamo una piccola sezione della scena e ingrandiamola. Prendiamo, ad esempio, la testa della tigre con il suo sguardo minaccioso e la sua smorfia rabbiosa. Di colpo non abbiamo più un’illustrazione. Non è più ‘scontata’. E il motivo sta nel fatto che l’osservatore può far rientrare questa espressione nei propri concetti, nelle proprie idee o nella propria esperienza: può fornire una spiegazione per quella smorfia, può paragonare quella testa a qualcuno che conosce. In breve, può CONTRIBUIRE a quella testa. L’abilità con cui la testa viene eseguita determina il grado della reazione. Dal momento che l’osservatore può contribuire all’immagine, si tratta di arte” (maiuscolo nell’originale).
Come ha ribadito nel 1979, “La distinzione che intercorre tra arti figurative e illustrazione è che le arti figurative permettono all’osservatore di contribuire alla scena con le proprie interpretazioni oppure con cose che nascono da lui, mentre l’illustrazione è ‘troppo letterale’ e gli dice già tutto quanto”.
La distinzione deriva sia dalla definizione di Hubbard dell’arte come comunicazione, sia dalla sua teoria delle emozioni. Nella vera arte, c’è una comunicazione a due sensi, che include “il flusso di ritorno proveniente dalla persona che osserva un’opera d’arte”, mentre nell’illustrazione non c’è un tale flusso di ritorno. L’artista cerca di evocare emozioni, ma questo può essere ottenuto solo se la comunicazione fluisce in entrambi i sensi: “Per suscitare un’emozione nelle arti figurative, lo spettatore deve essere invitato a dare un contributo a una parte del significato. In un poster, il più delle volte, si intende colpire pesantemente lo spettatore. Nell’illustrazione, si intende informarlo. Un’opera di arti figurative può suscitare contributi emotivi alquanto differenziati presso il pubblico, dal momento che ciascuna persona vien lasciata libera, in una certa misura, di contribuire con significati ed emozioni di sua scelta. Nelle arti figurative, l’osservatore deve metterci qualcosa affinché l’opera sia completa. Le arti figurative evocano nell’osservatore qualcosa in sintonia con la sua natura o il suo passato”.
Hubbard ritiene che la sua distinzione possa anche risolvere un problema irrisolvibile per gli storici dell’arte, cioè se la fotografia sia una forma d’arte. Il problema, sostiene, è rimasto irrisolto perché gli storici si sono limitati a considerare in quale misura il fotografo ha contribuito alla “realtà” o alla “prosaicità” che si trovava davanti al suo obiettivo e in che modo abbia interpretato la cosa.
Anche in questo caso, Hubbard prende in considerazione non solo il fotografo, ma anche il pubblico. “La questione verte su questo punto: quella fotografia suscita un contributo da parte di chi l’osserva oppure no? Se lo fa si tratta di arte”.