Il pittore tardo-simbolista italiano può essere compreso solo riconoscendo i suoi legami con i Rosacroce la teosofia e una forma di esoterismo cristiano.
di Massimo Introvigne
Il principale quotidiano italiano, il “Corriere della Sera”, lo ha scritto in modo egregio: “Un piccolo comune, una grande mostra”. Collesalvetti, in Toscana, è effettivamente un piccolo comune, ma la curatrice Francesca Cagianelli lo ha portato sulla mappa nazionale delle mostre d’arte con una serie di proposte alla Pinacoteca Comunale Carlo Servolini, incentrate sui circoli spiritualisti ed esoterici della vicina Livorno. Molti degli artisti presentati da Cagianelli a Collesalvetti erano vicini alla Teosofia. La Società Teosofica Italiana è media partner della nuova mostra inaugurata il 14 novembre, consacrata a Raoul Dal Molin Ferenzona (1879-1946), da lei curata insieme a Emanuele Bardazzi, il massimo esperto dell’artista.
Il fatto che il catalogo sia stato pubblicato da Silvana Editoriale, una casa editrice nota per i cataloghi delle più grandi mostre italiane, sottolinea ulteriormente l’ingresso di Collesalvetti in un circuito nazionale.
Ferenzona nasce a Firenze nel 1879, ma la sua famiglia è originaria di Livorno. È sempre a Livorno che il padre è assassinato per motivi politici. È un monarchico e un critico al vetriolo dei seguaci di Mazzini e Garibaldi. In un’epoca di accese passioni politiche, questo gli costa la vita. Rimasto orfano all’età di un anno, il giovane Ferenzona si trasferisce a Firenze con la madre, che lo convince a iscriversi all’Accademia Militare. Tuttavia, ben presto si rende conto che più che l’esercito è l’arte a chiamarlo. Sente anche il richiamo di Livorno, sia come legame familiare sia come centro di arte spiritualista.
La Pinacoteca di Collesalvetti esplora sistematicamente i legami degli artisti con il territorio. La mostra sottolinea l’importanza delle prime mostre di Ferenzona a Livorno e il suo legame con la storica galleria Bottega d’Arte.
Anche altre città sono state importanti per Ferenzona. La mostra ricorda i suoi legami con Roma, la sua profonda amicizia con il poeta romano Sergio Corazzini (1886-1907), morto di tubercolosi all’età di 21 anni, e le sue esplorazioni nell’ambiente occulto della capitale. Incontra luminari esoterici come Julius Evola (1898-1974) e probabilmente Giuliano Kremmerz (1861-1930) o almeno la cerchia dei suoi seguaci romani. Entra a far parte di un gruppo di artisti affascinati dalla Teosofia ed espone nel 1917 nella sede di un gruppo scissionista della Società Teosofica, la Lega Teosofica guidata da Decio Calvari (1863-1937).
Nello stesso anno 1917, un altro pittore che espone alla Lega Teosofica è Charles Doudelet (1861-1938), artista belga dai molteplici interessi esoterici che vive a Livorno tra il 1908 e il 1923. La sua carriera in Italia è stata esplorata in un’altra mostra curata da Francesca Cagianelli a Collesalvetti nel 2021. Anche se non ci sono prove evidenti che Ferenzona abbia incontrato Doudelet, sarebbe strano il contrario visto che i due hanno frequentato per diversi anni negli stessi ambienti.
I pittori affascinati dalla Teosofia e amici di Calvari avevano stili artistici molto diversi. In età avanzata Ferenzona ricorda le discussioni e i contrasti con Giacomo Balla (1871-1958), le cui esplorazioni futuriste e astratte erano lontane dall’artista toscano. Si definiva, forse impropriamente, un “preraffaellita” per sottolineare la sua preferenza per i sogni, il simbolismo e le reminiscenze del Medioevo rispetto all’arte astratta, alle utopie del futuro e alla fascinazione di Balla per la velocità e gli aerei. Tuttavia, Balla, Evola (che negli anni successivi divenne critico nei confronti della Teosofia) e Ferenzona condividevano interessi teosofici e un legame con Calvari.
Bardazzi ritiene che il ritratto del 1930 di un maestro indiano con turbante e una piccola statua del bodhisattva tantrico Trailokyavijaya possa rappresentare Jiddu Krishnamurti (1895-1986). Bardazzi ipotizza che Ferenzona abbia forse conosciuto Krishnamurti in occasione della visita di quest’ultimo in Italia nel 1929 e che possa essersi ispirato al ritratto del maestro indiano (che nello stesso 1929 aveva lasciato la Società Teosofica per seguire un percorso spirituale indipendente) del pittore spagnolo-costaricano Tomás Povedano de Arcos (1847-1943).
Essendo tra i pochi studiosi di esoterismo che hanno studiato l’attività teosofica di Povedano, ho letto con una certa emozione il riferimento di Bardazzi nel catalogo al suo ritratto di Krishnamurti (che io ho pubblicato grazie alla cortesia della Società Teosofica della Repubblica di Costa Rica), l’unico dove il pensatore indiano appare con un turbante. Non sapevo che fosse stato riprodotto in Italia su “Repertorio Americano” nel 1929, dove Ferenzona avrebbe potuto vederlo.
La mostra illustra come l’orizzonte di Ferenzona andasse oltre l’Italia. Fu influenzato dal movimento rosacrociano di Joséphin Péladan (1858-1918) e da alcuni artisti che esposero ai Salons de la Rose-Croix, tra cui Jan Toorop (1858-1928) e Fernand Khnopff (1858-1921). Il riferimento rosacrociano rimane costante nella carriera di Ferenzona, come dimostra il titolo del suo libro del 1923 con dodici incisioni e dodici poesie, “AôB – Enchiridion Notturno. Dodici miraggi nomadi, dodici punte di diamante originali. Misteri rosacrociani n. 2”. Il titolo allude anche alla musica di Fryderyk Chopin (1810-1849), e “Enchiridion Notturno” è il sottotitolo della mostra di Collesalvetti.
Come altri artisti italiani, Ferenzona trova una certa comunanza tra le particolari atmosfere di Bruges descritte nel romanzo di Georges Rodenbach (1855-1898) “Bruges-la-Morte” (1892) e la città italiana di Orvieto. Ferenzona viaggia anche in Europa centrale ed è influenzato da Josef Váchal (1884-1969), di cui la mostra di Collesalvetti presenta la significativa xilografia “William Blake”.
La menzione di Váchal solleva immediatamente la questione della fascinazione di Ferenzona per gli angeli e i demoni, poiché entrambi compaiono nella produzione dell’artista e teosofo ceco. Ferenzona era uno spirito simile. Alcune delle sue donne non sono solo streghe e “belles dames sans merci”, ma presentano le caratteristiche di demoni al femminile.
D’altra parte, quella di Ferenzona è anche un’arte degli angeli e, in ultima analisi, di un esoterismo cristiano. Forse il visitatore può lasciare la mostra meditando su una particolare illustrazione che Ferenzona ha realizzato per “L’Amour et le Bonheur” di Paul Verlaine (1844-1896).
Lo studioso italiano Michele Olzi, nell’unico saggio significativo su Ferenzona pubblicato in inglese (nella sezione sulle arti, di cui sono curatore, del “World Religions and Spirituality Project”) considera questa immagine di un uomo trasfigurato e alchemico come un “possibile autoritratto”. È il ritratto di un alchimista cristiano e allo stesso tempo di un uomo che abbraccia tutte le complessità delle tradizioni esoteriche occidentali e orientali.