L’integrazione tra gli elementi dell’opera per Hubbard è l’elemento decisivo per un risultato artistico di successo.
di Massimo Introvigne
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Quasi fino alla fine della sua vita (1986), Hubbard continuò a indagare il rapporto tra creazione artistica e tecnica. Si rese conto che un’eccessiva insistenza sulla tecnica poteva portare alla conclusione che l’arte era solo un lavoro, con un ruolo limitato per l’ispirazione. Avvertì che la creazione artistica, come qualsiasi altra creazione, doveva essere una gioia per l’artista: “Imponiti di sorridere e presto smetterai di essere accigliato. Imponiti di ridere e presto troverai qualcosa per cui ridere. Accendi il tuo entusiasmo e molto presto ti sentirai entusiasta. Un essere causa le proprie sensazioni. Nella vita la gioia più grande che c’è è creare. Goditela!”.
In uno dei suoi ultimi interventi sull’arte, datato 10 marzo 1984, Hubbard ha anche ricordato agli artisti che, anche se i messaggi non comunicati attraverso una tecnica appropriata non avrebbero mai raggiunto il pubblico, il messaggio stesso rimane essenziale: “I lavori d’arte riusciti hanno un messaggio. Potrebbe essere implicito o sottinteso, emozionale, concettuale o letterale, alluso o dichiarato. Ma sempre un messaggio. Questo vale per ogni forma d’arte (…). Molti elementi e molta esperienza contribuiscono alla creazione di opere d’arte di successo. Quello principale è il messaggio poiché esso integra il tutto e causa comprensione e apprezzamento presso coloro per i quali è inteso. La comprensione è la base di affinità, realtà e comunicazione. Un messaggio è essenziale per la comprensione”.
Il rapporto dialettico tra messaggio e tecnica, invece, diventa parte della tecnica stessa attraverso la nozione di “montaggio”, definita da Hubbard come una sequenza in quattro fasi, “una formula che aiuta a raggiungere una chiara comunicazione estetica dell’arte”: “1. Elaborare il proprio messaggio. 2. Decidere di comunicare il messaggio. 3. Inserire cose o composizioni che contribuiscano al messaggio. 4. Rimuovere o escludere cose o composizioni che non contribuiscano al messaggio”.
Un montaggio è “una serie di riprese con un unico messaggio”. Le riprese non devono essere confuse con scene o immagini. Una scena è un’immagine che comunica un messaggio, mentre “Una ripresa è qualsiasi cosa che non ha di per sé un messaggio proprio e che non comunica a meno di non essere connessa ad altre riprese o scene (…). Le riprese di un montaggio, prese singolarmente significano poco, ma una volta montate trasmettono un unico messaggio. Confondendo una sequenza d’azione con un montaggio, o la ripresa per un montaggio con una scena, si ottiene ben poca reazione dagli spettatori. Dopotutto, sono proprio questi gli elementi chiave”.

Il montaggio consiste in una “integrazione” di riprese diverse e compatibili, e senza integrazione “non avrete l’arte”. Il linguaggio viene dal cinema, ma l’integrazione è la chiave tecnica di tutte le arti. L’integrazione viene appresa a volte in modo doloroso, anche se per pochi fortunati le abilità possono essere anche “innate”.
Per imparare, gli artisti dovrebbero diventare capaci di guardare le proprie opere in due modi molto particolari. Il primo è definito da Hubbard come “la capacità o abilità – innata o acquisita – di vedere qualsiasi opera in una nuova unità di tempo ogni volta che la si guarda. Bisogna essere in grado di accantonare ogni considerazione precedente circa un’opera che è stata sottoposta a cambiamento o che è in corso di elaborazione, e vederla o ascoltarla in una unità di tempo completamente nuova, come se non se ne fosse mai sentito parlare prima. Agendo così, si vede effettivamente o si ode esattamente ciò che si ha di fronte; non le proprie considerazioni precedenti in materia”.
Questo può sembrare complicato, ma Hubbard sostiene che è il segreto che spiega perché molti artisti falliscono. Quando guardano le loro opere non le vedono per come sono realmente ora, ma percepiscono comunque le loro versioni precedenti di cui non erano contenti e che nel frattempo sono state corrette: “Alcuni pittori, ad esempio, rifanno continuamente un dipinto finché il colore non diventa spesso tre centimetri quando, invece, con tutta probabilità, molti dei rifacimenti erano del tutto superflui. Eppure, sono andati avanti col loro tentativo di correggere le prime impressioni che però non c’erano ormai più. Non guardando il loro dipinto in una nuova unità di tempo, come se non l’avessero mai visto prima, non possono veramente ricevere un’impressione corretta da quello che hanno davanti agli occhi”.
Hubbard sostiene che gli artisti professionisti sono effettivamente consapevoli di questo problema e cercano di superarlo guardando le loro opere in uno specchio o attraverso un vetro riduttore, invece che direttamente. Questo si riferisce alla seconda abilità di cui ogni artista ha bisogno: la capacità di vedere ogni opera dal punto di vista del pubblico a cui è destinata, che può essere molto diverso dal punto di vista professionale dell’artista. Ovviamente, la seconda abilità presuppone la prima, poiché il pubblico guarda l’opera d’arte nella sua versione attuale e non è a conoscenza di una versione precedente ancora presente nella mente dell’artista. Riassumendo, “Ciò che veramente separa i pasticcioni e i dilettanti dai professionisti sono queste due abilità. Una persona deve essere in grado, in qualsiasi momento, di osservare o ascoltare in un’unità di tempo completamente nuova qualunque cosa alla quale stia lavorando. E deve essere in grado di osservare o ascoltare la sua creazione dal punto di vista di coloro che alla fine saranno il pubblico. In altre parole, un professionista veramente molto, molto bravo sa essere fluido nel tempo, non è bloccato nel passato e sa facilmente cambiare posizione nello spazio. Non c’è nessun motivo di essere bloccati sulla traccia del tempo o di rimanere fissi unicamente nella propria posizione nello spazio. In realtà, il semplice fatto di sapere che tali abilità possono esistere rappresenta abbastanza spesso la chiave per acquisirle”.
Armato di queste due competenze, l’artista sarà in grado di costruire l’opera d’arte come integrazione e composizione. Composizione e integrazione non sono sinonimi, ma sono strettamente correlati. Hubbard sosteneva che prima di lui la composizione non era stata definita chiaramente, e questa mancanza di definizione è diventata fonte di molta confusione. Secondo lui, la composizione è la somma di “tutte le azioni, nessuna esclusa, necessarie a integrare e a dare significato a un messaggio”. Queste “azioni” sono ovviamente diverse nelle diverse forme d’arte. Ad esempio, per un pittore gli elementi della composizione saranno “gli oggetti che vanno effettivamente mostrati, il colore, l’armonia cromatica e la profondità cromatica, la prospettiva della profondità, i motivi geometrici, e l’uso delle linee emotive, e la calligrafia o il genere di carattere tipografico da usare”. Alcuni di questi elementi sono discussi da Hubbard in modo più dettagliato di altri.

Per quanto riguarda “gli oggetti che vanno effettivamente mostrati”, Hubbard ritiene che ogni opera d’arte debba avere un “centro d’interesse”. Due o più centri in generale non creano integrazione ma confusione: metterli insieme è teoricamente possibile, ma molto difficile. Qui Hubbard è vicino a quei critici religiosi dell’arte moderna, come Hans Sedlmayr (1896-1984), che lamentavano una “perdita del centro”, che rende più difficile la comprensione delle opere contemporanee.
Secondo Hubbard, il centro dell’opera, e i principali oggetti ausiliari, dovrebbero essere chiaramente identificati e identificabili. Più precisamente, dovrebbero anche determinare le forme geometriche dominanti e secondarie della composizione. Qui, Hubbard introduce anche la nozione delle “linee emotive”, cioè forme astratte di linee che influenzano la risposta emotiva del pubblico. Le linee verticali comunicano dramma e ispirazione, le linee orizzontali la felicità e la calma, e così via. Ci sono diversi sistemi di linee emotive descritti nei manuali per artisti. Nell’edizione postuma dei bollettini di Hubbard sull’arte, Scientology ha usato il sistema delle linee emotive sviluppato dal visionario architetto paesaggista John Ormsbee Simonds (1913-2005). La teoria della forma di Simonds è stata influenzata dal Buddismo Zen e dalle teorie antroposofiche alle quali è stato introdotto dal suo mentore ad Harvard, Marcel Breuer (1902-1981), già del Bauhaus.
Un altro strumento comune che Hubbard raccomandava agli artisti, la ruota dei colori, fu promosso ai suoi tempi attraverso riferimenti alle indagini di mercato, ma in realtà era stato usato per la prima volta in un contesto diverso da Robert Fludd (1574-1637) e Johann Wolfgang von Goethe (1749-1832). Come molti teosofi (e ricercatori di mercato), Hubbard credeva che i colori corrispondessero a specifici stati emotivi. Hubbard ha suggerito l’uso sistematico della ruota per esplorare l’armonia dei colori e l’associazione dei colori. I principi da lui citati erano abbastanza standard e si riferivano alle posizioni dei colori sulla ruota: (a) “armonia diretta”, o uso come complementare del colore direttamente opposto al colore chiave; (b) “colori correlati”, o uso di colori immediatamente adiacenti al colore chiave; (c) “complementari derivati”, o uso dei colori direttamente adiacenti al colore complementare identificato attraverso l’armonia diretta; e (d) “armonie triadiche”, o uso dei colori con due posizioni di distanza, su ciascun lato, rispetto al colore complementare. Hubbard, tuttavia, consigliava: “Quando usate le triadi e i complementari derivati limitateli a piccole aree”.

Oltre all’armonia e all’associazione, Hubbard ha menzionato la profondità di colore, definita come: “l’impressione di profondità (ovvero della distanza relativamente all’osservatore) che caratterizza colori differenti e che dipende dallo sfondo in contrasto col quale compaiono”.
“I colori caldi paiono risaltare in avanti mentre le tonalità fredde passano in secondo piano per l’osservatore.” La profondità del colore si riferisce a sua volta alla “profondità della prospettiva”, costruita attraverso una varietà di tecniche, di cui sosteneva nel 1984 di aver offerto “la prima codifica”. La sua classificazione distingue tra (1) profondità tramite prospettiva aerea (“i luoghi distanti diventano indistinti; i luoghi vicini diventano nitidi”); (2) profondità tramite colore; (3) profondità in base alla prospettiva lineare; (4) profondità tramite la luce; (5) profondità tramite luce, sotto forma di ombra; (6) profondità tramite solidità, in quanto “la solidità delle forme è una cosa differente rispetto a ciò che fanno le ombre. La solidità è di per sé qualcosa di particolare. Una cosa può essere disegnata per apparire solida. Poi si può aggiungere la prospettiva”; (7) profondità tramite messa a fuoco (“quando le cose sono alquanto vicine, appaiono nitide. Le cose più lontane appaiono un po’ sfocate”); e (8) “profondità per movimento laterale”.
Infine, Hubbard ha esaminato i casi in cui un testo dovrebbe essere integrato in un’opera d’arte. È importante, osserva, che la calligrafia, o lo stile del carattere o della caratteristica tipografica, si integri con il resto dell’opera. “E dal punto di vista dell’integrazione, scriveva, linee o schemi di colore morbidi non si integrano assolutamente con caratteri tipografici di stile tagliente, moderno. Il carattere tipografico non si armonizza con la forma artistica; quindi, le due cose non si integrano. Non sembrano fondersi e così non sembrano essere arte. Per integrarsi con schemi di colori morbidi, la calligrafia o i caratteri dovrebbero combinarsi con linee che diano un’impressione di ‘movimento’ o ‘morbidezza’, o qualcosa di simile. Schemi di colore differenti o linee geometriche differenti richiedono caratteri di tipo diverso. In altre parole, in un motivo pubblicitario di altro tipo, la calligrafia o stile tipografico devono allinearsi o integrarsi con la forma d’arte usata. E lo stile tipografico stesso dovrebbe accordarsi coi colori”.
In definitiva, l’integrazione rimane la chiave di tutta la discussione sulle tecniche artistiche di Hubbard.