Una risposta del direttore di “Bitter Winter” a quesiti posti da avvocati italiani su come è cambiata la situazione della religione in Cina tra il 2020 e il 2024.
di Massimo Introvigne
Mi è stata chiesta una panoramica dei più recenti sviluppi della repressione della religione in Cina, in particolare quanto a “fatti nuovi” intervenuti negli ultimi anni e mesi, che naturalmente vanno a intervenire su una situazione che quanto alla libertà religiosa era già gravemente compromessa.
Senza essere inutilmente pedante, è necessaria almeno una breve spiegazione del funzionamento della religione nella Repubblica Popolare Cinese. Il Partito Comunista Cinese (PCC) considera l’ateismo come parte delle sue dottrine fondamentali. In molti documenti ufficiali l’ateismo è dichiarato parte essenziale e irriformabile dell’ideologia del PCC. Tuttavia, quando il PCC salì al potere nel 1949, era un dato di fatto che la Cina fosse ricca di religioni. Mao Zedong riteneva che la religione potesse essere sradicata in Cina estirpando le sue radici sociali, cioè facendo della Cina un Paese veramente comunista. Nel frattempo, le religioni, anziché essere sradicate immediatamente e violentemente, dovevano essere accompagnate gradualmente alla loro fine, controllandole, per evitare qualsiasi rivolta o controrivoluzione religiosa. Il presidente Mao ordinò l’espulsione di tutti i missionari stranieri, l’arresto o l’esecuzione di tutti i leader religiosi di cui fosse nota l’opposizione al regime, e la creazione di organismi religiosi strettamente controllati dal PCC. I leader di questi organismi dovevano essere nominati dal PCC e doveva essere loro vietato di mantenere qualsiasi contatto con organizzazioni religiose straniere o internazionali. Per quanto il PCC volesse assecondare il presidente Mao, il compito si rivelò molto difficile. Per essere credibili, i nuovi organismi religiosi avrebbero dovuto includere almeno alcuni leader religiosi esistenti, e pochi di loro accettarono di essere reclutati dal PCC. Dopo un complicato processo di minacce e blandizie, alla fine il PCC riuscì, tra il 1954 e il 1957, a istituire cinque organismi religiosi controllati dal governo. Uno di questi (anzi, il primo a essere incorporato) fu il Movimento protestante cinese delle Tre Autonomie patriottiche, in breve la Chiesa delle Tre Autonomie (1954), un organismo unificato che comprendeva tutti i protestanti fedeli al PCC. Si caratterizzava per le “tre autonomie”, cioè “auto-amministrazione, auto-sostegno e auto-propagazione”, con le quali il PCC intendeva dire che nessun aiuto doveva essere ricevuto o accettato da missionari stranieri e organismi internazionali e che i leader e i pastori dovevano essere nominati dal PCC. Gli altri quattro organismi controllavano rispettivamente i cattolici, i musulmani, i taoisti e i buddisti (il confucianesimo non era considerato da Mao una religione, ma una filosofia, i cui templi sono diventati per lo più strutture museali).
In realtà, i cinque organismi ufficiali non hanno mai controllato tutte le attività religiose in Cina. Come ha scritto nel 2006 il principale sociologo cinese della religione Yang Fenggang (ora trasferitosi negli Stati Uniti) in un articolo diventato un classico dello studio sociologico della religione in Cina, poi ampliato in un libro, il PCC aveva creato un “mercato rosso” della religione approvata. La teoria sociologica, tuttavia, sostiene che nemmeno i regimi totalitari sono in grado di controllare completamente la religione. Si sviluppò così rapidamente un “mercato nero” al di fuori dei cinque organismi ufficiali. Molti, e di fatto la maggior parte dei protestanti in Cina, non accettarono di fondersi in un corpo protestante unificato con pastori nominati dal PCC e crearono una miriade di “Chiese domestiche” indipendenti. Queste Chiese erano illegali in Cina. L’unica forma legale di protestantesimo era la Chiesa delle Tre Autonomie. Per questo motivo, nell’articolo del 2006, Yang aveva incluso le Chiese domestiche in quello che definiva il “mercato nero” dei gruppi vietati e perseguitati in Cina.
Nel 2011, Yang aveva rivisto la sua teoria sulla religione in Cina. Aveva notato che le Chiese domestiche erano trattate in modo diverso nelle varie province. Rimanevano illegali e soggette a possibili repressioni in qualsiasi momento. Tuttavia, almeno in alcune province, erano di fatto tollerate. Per questo motivo, Yang nel 2011 aveva incluso le Chiese domestiche in un “mercato grigio” della religione in Cina, un fenomeno a metà tra il “mercato nero” delle religioni elencate come “nemiche del popolo” e perseguite senza pietà, come il Falun Gong o la Chiesa di Dio Onnipotente, e il “mercato rosso” delle cinque organizzazioni religiose controllate dal governo, tra cui la Chiesa delle Tre Autonomie. Yang aveva rivisto la sua teoria come conseguenza di una nuova politica che, pur non essendo affatto “democratica” o “liberale” non considerava la religione come un problema principale in Cina e lasciava la sua gestione alle autorità locali. Alcune di esse erano meno severe di altre. Il “mercato grigio” divenne il più grande segmento della religione in Cina. Comprendeva migliaia di piccole (e talvolta grandi) “Chiese domestiche” che non facevano parte della Chiesa delle Tre Autonomie, cattolici clandestini (l’accordo con il Vaticano, che peraltro non ha risolto tutti i problemi, sarebbe seguito solo nel 2018), moschee islamiche e templi buddisti e taoisti che, per motivi diversi, non volevano affiliarsi alle cinque organizzazioni religiose ufficiali controllate dal governo. Le Chiese e gli altri gruppi del “mercato grigio” erano ufficialmente illegali. Tuttavia, a differenza di organizzazioni come la Chiesa di Dio Onnipotente, ufficialmente bandite come parte del “mercato nero”, i gruppi del “mercato grigio” non erano sistematicamente perseguitati e la possibilità di essere repressi o tollerati dipendeva in larga misura dall’atteggiamento delle autorità locali.
Da questa limitatissima, temporanea ma non inesistente tolleranza di fatto rimanevano fuori i gruppi del “mercato nero”, cioè quelli elencati in una apposita lista di movimenti religiosi considerati un pericolo per la sicurezza nazionale, compresa la Chiesa di Dio Onnipotente. La lista li elenca come “xie jiao”, una espressione erroneamente tradotta in italiano come “sette malvagie” mentre risale all’alto Medioevo dove era inizialmente stata coniata per giustificare la repressione del Buddismo, allora una religione nuova nella Cina taoista e confuciana, e significa “insegnamenti eterodossi”. Partecipare in qualunque modo alle attività di uno “xie jiao” è un reato previsto e punito dall’articolo 300 del Codice penale cinese. Benché la propaganda cinese affermi talora che l’articolo 300 si applichi solo ai membri di “xie jiao” che “commettono reati” occorre precisare che partecipare a riunioni di preghiera, svolgere attività missionarie anche nella forma embrionale di una conversazione sulla religione con un compagno di lavoro, e perfino tenere a casa letteratura di un gruppo proibito sono considerati reati. Con il professor James T. Richardson, forse il più noto esperto di questioni di libertà religiosa negli Stati Uniti, e una ex diplomatica con una lunga esperienza in materia di diritti umani, Rosita Šorytė, abbiamo documentato in un ampio studio, attraverso l’esame di centinaia di sentenze emesse da tribunali cinesi e pubblicate da fonti ufficiali, che in tutti questi casi i tribunali cinesi applicano l’articolo 300 per infliggere pesanti pese detentive, in particolare a membri della Chiesa di Dio Onnipotente.
Le cose sono cambiate durante la pandemia COVID-19. Naturalmente si è trattato di un evento drammatico e traumatico in tutto il mondo, come sappiamo bene in Italia, ma in Cina il lockdown è stato radicale e alla fine ha generato proteste di una ampiezza mai vista nel Paese fin dal tempo da quelle di piazza Tiananmen del 1989, costringendo il regime a revocare la politica “Zero COVID” che era stata dichiarata irreversibile. Che il regime cinese non sia riuscito a controllare proteste di piazza e sia dovuto venire a compromessi con i manifestanti è stato un fatto inaudito e senza precedenti, che ha notevolmente allarmato il PCC. Tra le spiegazioni che il PCC si è dato di quanto era successo è che durante la pandemia e il lockdown il Partito non era riuscito completamente a diffondere una spiegazione rassicurante di quanto stava succedendo, spingendo molti cinesi a rivolgersi alle religioni: non quelle ufficiali che ripetevano le parole d’ordine del PCC ma quelle illegali, che offrivano ambienti “caldi”, pratiche religiose consolatorie che promettevano anche di rafforzare il sistema immunitario e aiutare a difendersi dal COVID, e in generale una spiegazione spirituale che dava conforto ai sofferenti. Il PCC si è così reso conto, tra l’altro, che la Chiesa di Dio Onnipotente, cui aveva annunciato prima del COVID di avere inflitto colpi decisivi, non soltanto continuava ad esistere ma era cresciuta durante la pandemia.
Tra le Chiese domestiche un cenno speciale meritano quelle della galassia “Sola Fide”, che è un network più che una organizzazione centralizzata. Come dice il loro nome, la loro ragion d’essere è il ritorno alla dottrina di Martin Lutero della giustificazione “per sola fede” che accusano la Chiesa delle Tre Autonomie di avere tradito sotto l’influsso del marxismo, così riducendosi a una Chiesa protestante solo di nome e vuota di contenuti, che non è in grado di dare conforto a chi soffre. Anche questo discorso è risultato particolarmente persuasivo durante la pandemia e il lockdown.
Tra i risultati della riflessione del PCC sulle cause delle proteste popolari parzialmente incontrollabili nei mesi finali del lockdown c’è stata una stretta senza precedenti, almeno dopo la morte di Mao, sulle religioni “illegali”, accusate di avere innervato e organizzato una società civile dove su un evento così centrale come il COVID sono prevalse narrative alternative a quella del PCC. Una strategia nazionale è stata delineata dallo stesso Xi Jinping alla “Conferenza nazionale sul lavoro relativo agli affari religiosi” del 3-4 dicembre 2021, un evento cruciale per comprendere la politica religiosa del PCC negli ultimi anni. Da una parte è stata fortemente rafforzata – anche sostituendo e qualche volta mettendo in prigione per “corruzione” (ma in realtà per l’inefficienza dimostrata durante il COVID) i funzionari preposti – la lotta contro gli “xie jiao” e in particolare la Chiesa di Dio Onnipotente. Le statistiche ufficiali dei processi sono state secretate dopo che le autorità hanno compreso che erano utilizzate dalle ONG che si occupano di diritti umani e anche dal governo americano per denunciare le violazioni della libertà religiosa in Cina, ma mettendo insieme dati regionali e notizie di stampa si può concludere che il numero di arresti e la severità delle condanne inflitte a membri della Chiesa di Dio Onnipotente è in continua crescita dal 2022 e ha raggiunto un picco mai toccato prima nel 2023, segnalando un vero e proprio cambio di marcia della repressione. In breve, dopo il COVID essere un membro della Chiesa di Dio Onnipotente in Cina è diventato molto più pericoloso. Si sono moltiplicati sia i rischi di arresto, anche per chi non è certo un leader e ha una partecipazione marginale alla Chiesa, sia per gli arrestati i rischi di condanne a pene detentive superiori ai cinque e anche ai dieci anni.
Dal 2022, cioè dopo la Conferenza sul lavoro religioso del dicembre 2021, dalla Cina arrivano quotidianamente notizie di incursioni e repressioni da parte della polizia nei confronti di “Chiese domestiche”. Ai membri delle Chiese domestiche viene detto che o si uniscono alla Chiesa delle Tre Autonomie controllata dal governo, entrando così nel “mercato rosso” dove la religione serve essenzialmente come portavoce per diffondere la propaganda del PCC e imporre la fedeltà al Partito, oppure saranno trattati come parte del “mercato nero” delle religioni proibite e condannati a lunghi periodi di carcere. Le notizie di queste incursioni della polizia contro le “chiese domestiche” sono estremamente frequenti e mostrano il particolare accanimento contro le Chiese del network “Sola fide”, che sia sono cresciute durante il COVID sia si sono mostrate capaci di proporre una critica teologica particolarmente efficace della Chiesa delle Tre Autonomie controllata dal governo.
Anche per chi si è rifugiato all’estero e ha richiesto asilo i rischi di essere arrestato sono aumentati, anzi dal rischio si è passato a una virtuale certezza. Dopo aver passato un periodo in carcere o in campo di lavoro, il richiedente asilo membro della Chiesa di Dio Onnipotente o di una Chiesa Sola Fide rimandato in China si troverà di fronte all’alternativa di abbandonare del tutto la religione, frequentare una Chiesa affiliata all’organizzazione delle Tre Autonomie, o continuare clandestinamente a frequentare una Chiesa proibita, con la prospettiva di finire di nuovo in carcere, questa volta per un periodo più lungo come recidivo. Che per un credente sincero frequentare la Chiesa ufficiale delle Tre Autonomie sia qualcosa di inaccettabile per motivi di coscienza non è un’opinione soggettiva di qualche rifugiato. La Commissione degli Stati Uniti per la libertà religiosa internazionale (USCIRF) è una commissione bipartisan indipendente degli Stati Uniti i cui membri sono designati dai leader del Congresso di entrambi i partiti e nominati dal Presidente. Il 29 dicembre 2022, ha pubblicato un rapporto su “Religione controllata dallo Stato e violazioni della libertà religiosa in Cina”, che si concentra sul ruolo che le cinque religioni autorizzate, compresa la Chiesa delle Tre Autonomie, svolgono nel sistema cinese di repressione antireligiosa. Senza mezzi termini, il rapporto ha denunciato le Chiese controllate dal governo come complici delle violazioni dei diritti umani e della sorveglianza dei credenti da parte del regime cinese, osservando che “ci si aspetta che queste organizzazioni siano assolutamente fedeli al PCC, che servano come canali e sostenitori della propaganda di Stato e che facilitino l’attuazione delle politiche religiose del PCC”. Non sorprende dunque che milioni di persone siano convinte che frequentare Chiese controllate da queste organizzazioni non sia un modo accettabile di vivere la propria religione in Cina.
Un’altra conseguenza della riflessione del PCC sulle proteste legate al COVID e sulla crescita anomala delle religioni proibite durante il lockdown è stata la creazione di una rete di sorveglianza senza precedenti che prende di mira branche estere delle organizzazioni religiose vietate, in particolare la Chiesa di Dio Onnipotente e le Chiese domestiche come Sola Fide. Forse talora sopravvalutando le reali capacità di queste organizzazioni religiose di operare in modo transnazionale, il PCC è convinto che la loro resilienza in Cina dipenda ampiamente dalle reti che hanno costruito all’estero nella diaspora cinese, le quali sia offrono supporto economico e spirituale sia promuovono manifestazioni che denunciano pubblicamente nei Paesi democratici la persecuzione che subiscono in patria. Questi collegamenti sono considerati particolarmente pericolosi dal PCC, anche perché danneggiano la sua immagine internazionale. L’esistenza di una rete di sorveglianza capillare dei dissidenti cinesi all’estero e dei cittadini cinesi che partecipano all’attività di organizzazioni religiose vietate in Cina in Paesi stranieri non è una preoccupazione soggettiva dei rifugiati né è amplificata dai loro timori. Rapporti di intelligence, anche in Italia, e studi scientifici di cui ha dato notizia anche la stampa non specializzata documentano una capillare attività di sorveglianza dei cittadini cinesi all’estero, anche attraverso tecnologie sofisticate quali il riconoscimento facciale e le intercettazioni ambientali (illegali).
Naturalmente questo sistema era già stato avviato prima del COVID ma ora si è ulteriormente rafforzato. Una sua eccellente ricostruzione, riferita al rischio che un fedele della Chiesa di Dio Onnipotente – cui è stato concesso asilo – fosse “attenzionato” da agenti cinesi in Germania dove partecipava alle autorità della sua Chiesa è contenuta in una sentenza del Tribunale Amministrativo di Friburgo del 12 settembre 2019. Vi si legge che in Europa le comunità e anche “i siti Internet delle religioni proibite sono sempre più monitorati dalle autorità di sicurezza. Dal momento che i servizi di sicurezza cinesi dispongono dei mezzi tecnici per identificare persone non nominate nei video utilizzando un software di riconoscimento facciale […]. il tribunale è anche convinto che il ricorrente sia stato ormai identificato dalle autorità di sicurezza cinesi e sia percepito come una minaccia per lo Stato cinese… Secondo le agenzie di intelligence tedesche, uno dei punti focali delle attività delle agenzie statali cinesi in Germania, in particolare dei servizi segreti cinesi, è spiare e combattere i movimenti che, secondo il Partito Comunista Cinese, sfidano il suo monopolio del potere e rappresentano una minaccia per l’unità nazionale cinese. Nel processo, queste agenzie ora non si limitano più a raccogliere informazioni all’estero, ma esercitano anche pressioni attive, sistematiche e aggressive su esiliati dissidenti, li intimidiscono e li minacciano, anche filmandoli a distanza ravvicinata e ormai senza nemmeno nascondersi. Chiunque sia stato identificato dai servizi di sicurezza dello Stato cinese per avere partecipato ad attività di organizzazioni considerate anti-regime all’estero viene inserito in una lista nera… Queste persone spesso ‘scompaiono’ a tempo indeterminato se tornano in Cina”.
Vorrei citare un ultimo punto. Come dimostrato dalla citata analisi di sentenze contro duecento membri della Chiesa di Dio Onnipotente, la Cina controlla legalmente e illegalmente le richieste di asilo presentate dai suoi cittadini all’estero. La richiesta di asilo basata sull’argomento della persecuzione religiosa è considerata un crimine e una forma di tradimento, in quanto “calunnia” l’immagine internazionale della Cina. Come abbiamo documentato, quando le richieste di asilo sono state respinte e i richiedenti asilo sono stati rimandati in Cina, non solo sono stati condannati per la loro passata partecipazione ad attività religiose illegali, ma anche per aver fatto richiesta di asilo all’estero, quindi per aver “calunniato” la Cina, con conseguenti pene detentive più severe, e con il rischio di essere accusati anche di tradimento, un crimine serissimo in Cina punito con sanzioni che vanno fino alla pena di morte.
In conclusione ritengo che l’epidemia COVID-19 e i provvedimenti gradualmente implementati dopo la “Conferenza nazionale sul lavoro relativo agli affari religiosi” del 3-4 dicembre 2021 abbiano modificato in modo molto significativo la situazione dei membri della Chiesa di Dio Onnipotente e di Chiese del network Sola Fede in Cina e all’estero, moltiplicando gli sforzi del regime di arrestarli e condannarli a pesanti pene detentive in Cina, sorvegliarli all’estero, e applicare le severissime normative sulla diffamazione dello Stato e sul tradimento, in aggiunta a quelle sulla partecipazione alle attività di gruppi religiosi proibiti, nel caso i richiedenti asilo siano costretti a tornare nel loro Paese di origine.