Un libro molto importante affronta criticamente le proposte di abolire le leggi che proteggono il segreto della confessione.
di Massimo Introvigne
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“Religious Confession and Evidential Privilege in the 21st Century” (Shepherd Street Press, in collaborazione con Connor Court Publishing e The School of Law, The University of Notre Dame Australia, Cleveland, Queensland, 2021), curato da Mark Hill, un illustre avvocato britannico, e A. Keith Thompson, professore e decano associato presso la University of Notre Dame Australia School of Law, con una prefazione dell’ex arcivescovo di Canterbury Rowan Williams, si presenta come uno dei più importanti libri sulla religione del 2022 (l’anno in cui è stato effettivamente pubblicato, anche se porta una data di copyright 2021). Lo recensirò in una serie di articoli successivi, divisi per focus geografico. In questo primo articolo, mi concentrerò sull’Australia.
L’argomento del libro è la teoria, originata dagli orribili casi di abusi sessuali perpetrati da preti cattolici e ministri di altre religioni, che le leggi che proteggono la riservatezza della confessione cristiana e pratiche simili in altre religioni dovrebbero essere eliminate. Quello che Rowan Williams chiama un “preoccupante attacco legale” contro un principio giuridico stabilito da secoli (9: le citazioni in questa serie si riferiscono tutte al libro di Hill e Thompson, se non diversamente indicato) si basa sull’idea che le religioni hanno protetto predatori sessuali nascondendosi dietro il sigillo della confessione.
Le religioni hanno replicato, come scrive Williams, che “il ‘sigillo’ della confessione non è – come alcuni critici sostengono – una forma di segretezza maligna, ma una garanzia che tutti i tipi di comportamento distruttivo e dannoso possono essere espressi, nominati e riconosciuti per quello che sono” (8). Se i tribunali non riconoscessero che le confessioni fatte a un ministro di culto sono segrete, alla fine non si confesserebbe più nessuno.
Il libro esamina la situazione, e le controversie, in sei diversi paesi: Australia, Regno Unito, Irlanda, Italia, Norvegia e Svezia. Avrebbe potuto essere ampliato con altri paesi come la Francia, dove problemi simili sono stati discussi dopo che un rapporto del 2021 commissionato dalla Chiesa cattolica sugli abusi sessuali su minori perpetrati da preti cattolici ha suggerito che il numero di casi potrebbe essere stato molto più alto di quanto si credesse in precedenza. Le opere collettive, tuttavia, hanno dei limiti, e questo è già un volume di trecento pagine.
L’Australia è uno dei paesi in cui il problema è stato sollevato per la prima volta, con il tentativo fallito del 2003 del controverso senatore Nick Xenophon, che ha condotto una crociata sia contro la Chiesa cattolica sia contro le “sette”, di obbligare i ministri religiosi del Sud Australia a rivelare il contenuto delle confessioni nei casi di abusi sessuali su minori.


Il rapporto del 2017 della Royal Commission into Institutional Responses to Child Abuse ha raccomandato ai governi statali e territoriali australiani di eliminare la protezione della confessione nei casi di abuso sessuale su minori. La maggior parte degli Stati e territori australiani ha seguito la raccomandazione, creando un conflitto con la Chiesa cattolica, la quale ha subito risposto che i sacerdoti sarebbero andati in prigione piuttosto che violare l’obbligo sacro di segretezza legato alla confessione. Quelli che avessero obbedito alle leggi australiane sarebbero stati scomunicati, precisarono i vescovi australiani.
Come spiegano Robert Netanek e Patrick Parkinson nel loro capitolo, nel 2020 alcuni vescovi cattolici australiani, seguendo un suggerimento della stessa Royal Commission, avevano cercato di trovare una soluzione in cui la protezione legale della confessione sarebbe stata mantenuta ma i sacerdoti sarebbero stati istruiti a rifiutare l’assoluzione fino a quando i penitenti che avevano confessato peccati di abuso su minori non si fossero auto-denunciati alle autorità. Tuttavia, i vescovi scrissero al Vaticano, la cui Penitenzieria Apostolica, competente in materia di confessione, rispose che “l’assoluzione non può essere subordinata ad azioni future nel foro esterno” (89).


Nel suo capitolo, A. Keith Thompson nota che la situazione attuale relativa alla protezione del segreto della confessione in Australia non è del tutto chiara, poiché le nuove leggi che hanno seguito il rapporto della Commissione Reale contrastano con altre norme che non sono state abrogate.
Thompson riferisce che le leggi che proteggono il segreto della confessione sono state introdotte in Australia e Nuova Zelanda a partire dal XIX secolo, a seguito di casi controversi in cui l’opinione pubblica si era schierata in gran parte con i sacerdoti, mentre la posizione della Commissione Reale è stata “una reazione poco teorizzata a un panico morale” (58). La sua critica alla Commissione e ai nuovi statuti si basa su quattro argomenti.
In primo luogo, come Jeremy Bentham (1748-1832), un filosofo inglese che non era amico della religione né della Chiesa cattolica, aveva sostenuto all’inizio del XIX secolo, “nel momento in cui si sapesse che la polizia vi ha pescato il suo primo segreto del confessionale, il pozzo di tali segreti si prosciugherebbe” (45). I criminali non confesserebbero i loro peccati ai preti e altri ministri di culto se sapessero che quello che confessano sarà riferito alla polizia.
In secondo luogo, in pratica pochissimi perpetratori e vittime confessano episodi di abuso sessuale a preti e pastori, e quando lo fanno cercano di essere vaghi sui dettagli, così che un’ipotetica denuncia da parte del ministro di culto sarebbe di scarsa utilità per le autorità.
In terzo luogo, la denuncia obbligatoria delle informazioni su abusi sessuali che i ministri di culto hanno appreso al di fuori della confessione, cui la Chiesa cattolica e altre confessioni cristiane non si oppongono, è la vera chiave per migliorare la protezione dei bambini, come dimostra l’esperienza di diversi Stati australiani.
In quarto luogo, l’argomentazione della Commissione secondo cui l’abrogazione del privilegio della confessione religiosa non violerebbe l’articolo 18 della Convenzione internazionale sui diritti civili e politici, relativa alla libertà di religione o di credo, perché tale disposizione consente “restrizioni” giustificate dall’“ordine pubblico” e dalla “morale pubblica”, è infondata e basata su una “interpretazione errata” dell’articolo (60).
Infatti, non tutte le restrizioni sono giustificate, la sfera della coscienza (in questo caso, dei sacerdoti e altri ministri di culto) deve rimanere inviolabile, e la Commissione non ha dimostrato che gli stessi risultati non possano essere ottenuti senza violare gravemente la libertà religiosa.
La Commissione Reale, sostengono Netanek e Parkinson, ha anche commesso errori fattuali (ha fatto lo stesso, come ha dimostrato Holly Folk in un articolo su Bitter Winter, riguardo ai Testimoni di Geova). Non ha creduto all’argomentazione dei vescovi cattolici secondo cui le confessioni non includono quasi mai materiale che sarebbe utile alla polizia per prevenire ulteriori abusi sui bambini e identificare i perpetratori.
La Commissione si è basata su due fonti principali. La prima è stata l’affermazione del prete australiano spretato Michael Joseph McArdle, che la Commissione ha citato dal libro del giornalista anticattolico britannico John Cornwell “The Dark Box: A Secret History of Confession” (Basic Books, New York 2014), di aver raccontato ad altri preti i suoi abusi circa 1.500 volte in confessione. Tuttavia, la Commissione non ha considerato che i giudici del suo caso hanno definito McArdle un bugiardo patologico, che ha cercato di usare la storia delle presunte confessioni per allontanare la colpa dei suoi misfatti da sé stesso e attribuirla alla Chiesa cattolica.
La seconda fonte è un’analisi qualitativa delle interviste a nove preti colpevoli di abusi sessuali che accettarono di parlare con lei condotta dalla psicologa irlandese Marie Keenan. La Commissione si è basata sull’affermazione della Keenan che otto dei nove preti hanno rivelato i loro abusi in confessione.
Tuttavia, la Keenan ha anche riferito che lo hanno fatto senza rivelare dettagli che avrebbero potuto portare a identificare sé stessi o le vittime. Forse alcuni membri della Commissione non sapevano che in Irlanda e in altri Paesi, compresa l’Australia, in molte chiese cattoliche i penitenti possono andare a confessarsi nascondendosi dietro una grata. Coloro che non vogliono essere identificati possono anche confessarsi lontano da dove vivono, una pratica piuttosto comune tra i cattolici.


Nel 2019, aggiungono Netanek e Parkinson, un rapporto del Justice and Community Safety Directorate dell’Australian Capital Territory aveva sconsigliato di eliminare la protezione legale del segreto della confessione sostenendo che, se sapessero di poter essere denunciati alla polizia dal loro sacerdote, i colpevoli “probabilmente eviterebbero del tutto la confessione; o in alternativa, potrebbero sfruttare le caratteristiche del rito della confessione abituali in Australia per confessarsi in modo anonimo e non specifico” (104). La conclusione di Netanek e Parkinson è che le nuove leggi contro il segreto della confessione non salveranno un solo bambino dagli abusi, ma hanno creato un pericoloso precedente che minaccia la libertà religiosa in generale.