Gurdjieff, la magia popolare, i Tarocchi e la Seconda Guerra Mondiale si intrecciano in un universo artistico e culturale dove l’esoterismo ha un ruolo decisivo.
di Massimo Introvigne
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Si conclude con questo terzo articolo la trascrizione di una “passeggiata” per la mostra “Surrealismo e magia. La modernità incantata”, in corso alla Collezione Guggenheim di Venezia fino al 26 settembre 2022, oggetto di un documentario realizzato dalla Società dello Zolfo, di cui raccomando la visione.
Abbiamo già fatto il nome di Remedios Varo, la pittrice spagnola amica di Leonora Carrington e menzionato come le due artiste si siano trovate insieme in Messico. “Nutrimento celeste” di Remedios Varo è un quadro molto significativo. È un’opera tarda dell’artista, datata 1958. Vediamo una donna che macina del cibo con cui nutre la luna. Remedios Varo fa parte in questi anni di una struttura esoterica ispirata a Gurdjieff. E chi conosce Gurdjieff ha familiarità con l’espressione “cibo per la luna”.
Gurdjieff pensa che l’immortalità, l’anima immortale non sia per tutti, ma vada costruita con grande fatica, con un percorso iniziatico che riesce a poche persone. Questi pochi conquisteranno l’immortalità; tutti gli altri, quando muoiono diventano residui psichici che servono (tra l’altro) a nutrire la luna e ad assicurare il suo movimento. Quindi, a un primo livello di lettura la donna del dipinto è una sorta di tramite, di personaggio intermedio che sta nutrendo la luna con i morti che non ce l’hanno fatta, o che hanno totalmente ignorato la necessità dell’iniziazione.
Tuttavia, possiamo leggere questo quadro anche ad un altro livello, ritenendo che questo nutrimento celeste abbia un significato alchemico. I simboli esoterici si possono sempre leggere a più livelli, e il nutrimento celeste può anche alludere a un’alchimia interna dove anche l’energia sessuale e i fluidi sessuali umani possono diventare nutrimento alchemico e condurre all’illuminazione.

La mostra rivaluta anche Enrico Donati (1909-2008), un artista italiano che ha fatto parte a pieno titolo dell’ambiente dei surrealisti, ma ha alcune specificità. La prima è l’educazione, perché si era laureato in sociologia all’Università di Milano. La seconda è l’interesse suo e di sua moglie per i profumi come parte dell’esperienza surrealista. La terza è che è vissuto fino a 99 anni e quindi, giacché è morto nel 2008, ha portato una memoria viva del surrealismo fino al ventunesimo secolo.
L’interesse per la magia di Donati passa per la lettura di testi sul folklore e sulla magia del sud in Italia. La sua scultura “Pugno” è una rappresentazione surrealista del mondo del malocchio e degli scongiuri che sono tipici di quel folklore meridionale che veniva studiato da Ernesto de Martino (1908-1965) e da altri autori. Donati è stato quasi totalmente dimenticato e questa mostra è una buona occasione per riscoprire questo surrealista anomalo e italiano.

Un’opera riassuntiva di tutta la mostra ci riporta al mondo dei Tarocchi, e ancora a Victor Brauner. L’opera si chiama “Gli amanti” ed è del 1947. Sappiamo che nel 1938 c’è stata l’esperienza della perdita dell’occhio da parte di Brauner, che lo ha introdotto a credere all’esistenza di un mondo preternaturale, se non soprannaturale. Ne “Gli amanti” ci sono allusioni a Breton. Molti si sono scervellati sul ben visibile numero 1713, pensando alla data di un mazzo di Tarocchi del diciottesimo secolo, ma in realtà 1713 è una trasposizione numerico-cabalistica del nome (o delle iniziali) di André Breton. C’è dunque un omaggio, un riconoscimento di Breton come padre del surrealismo. Ma nello stesso tempo Brauner ha superato Breton, per cui il linguaggio magico era solo una metafora. Brauner è entrato in un mondo in cui alla magia si crede davvero.
Vediamo un simbolo importante sulla testa del personaggio maschile de “Gli amanti”, che non è il simbolo dell’infinito ma – a guardarlo bene e da vicino – è il serpente che si morde la coda, l’Ouroboros, il quale è anche un simbolo dell’alchimia interna e di pratiche di erotismo sacro. Vediamo poi lo scettro che lo stesso personaggio, che ha il serpente anche sul petto, tiene in mano. È lo scettro della “coniunctio oppositorum”, della congiunzione del maschile e del femminile, e ha il simbolo del sole e della luna – il sole da una parte e la luna dall’altra. Il sole sta dalla parte del personaggio femminile che in qualche modo va a fecondare. Questa è una regina, un uccello – un’allusione agli uccelli di Max Ernst – ma è anche la donna che sta per entrare in un’unione alchemica.
Sono anche importanti le parole che si leggono sul dipinto: “magia” è al centro, e permette in basso di controllare il “destino” e in alto di arrivare alla “libertà”. Dall’altra parte ci sono le parole “passato”, “presente” e “futuro”, le quali ci avvertono che siamo di fronte a una rappresentazione dinamica del percorso iniziatico.
Questo quadro è stato esposto alla grande mostra organizzata da Breton e da Marcel Duchamp (1887-1968) nel 1947 a Parigi, quando i surrealisti sono tornati. Nel 1947 non ci sono più i nazisti e quindi si può esporre di nuovo l’arte surrealista a Parigi. Il radicamento nell’esperienza originaria del surrealismo di Breton è forte, è riconosciuto, non è in nessun modo rinnegato, ma nello stesso tempo l’immersione nel mondo esoterico di Brauner è così forte da farci capire che siamo dopo quella svolta del 1938 che porta i surrealisti, per così dire, a “crederci” davvero.

Di Brauner l’esposizione propone anche “Il surrealista”, che è ispirato a una specifica carta dei Tarocchi, al Bagatto. Vediamo anche i simboli – i denari, le spade, le coppe e i quadri – delle carte da gioco napoletane che, come non tutti sanno, hanno anche loro un significato esoterico, perché i semi rappresentano i quattro elementi. Dietro a molti giochi di carte – soprattutto italiani – spesso vi sono dei simboli più profondi di quanto non si creda. “Il surrealista”, appunto. Questo titolo ci vuole dire che la magia, l’alchimia, i tarocchi, o la cabala non sono aspetti laterali o secondari del surrealismo. Al contrario, questi elementi sono al centro del movimento.

Avvicinandosi all’uscita della mostra, incontriamo un dipinto di Roberto Sebastián Matta, surrealista cileno, amico e sodale del cubano Wilfredo Lam, che s’intitola “Anni di paura” ed è stato dipinto nel 1941, nel pieno della Seconda Guerra Mondiale. Anche questa “paura” in qualche modo è filtrata da una dimensione esoterica. Non dobbiamo mai dimenticare che nella visione del mondo esoterica non si negano né si nascondono le catastrofi. C’è un “solve” prima di un “coagula”, e quindi anche le catastrofi e i disastri in qualche modo fanno parte di una logica e di una storia sacra, che è colta a modo loro da questi artisti negli anni terribili della Seconda Guerra Mondiale.
Siamo ormai all’ultimo surrealismo, quello degli anni 1950, in cui alcuni dei surrealisti sono in conversazione con altre correnti che mettono al centro della loro esperienza artistica la paura della bomba atomica e insieme il fascino delle scoperte sull’energia atomica. I surrealisti però vivono anche il timore dell’atomica attraverso uno sguardo onirico e magico.

Una delle opere più significative di questo periodo esposte a Venezia è “Idillio melanconico atomico e uranico” di Salvador Dalí (1904-1989), un’opera suggestiva ma ammonitrice perché è dipinta subito dopo i bombardamenti americani in Giappone. È un dipinto sui rischi che la bomba atomica fa correre all’umanità. Vediamo i bombardieri e i disastri, ma vediamo anche un americano con la sua mazza da baseball che ci ricorda che gli Stati Uniti sono il Paese che ha sganciato l’atomica. Si potrebbe dire che siamo di fronte a una protesta anti-nuclearista. Ma la protesta dopo Hiroshima e Nagasaki qui è filtrata in una chiave tipicamente surrealista e ripropone simboli consueti nell’opera di Dalí.
L’ultima sala della mostra, che presenta “Paura” di Matta e “Idillio” di Dalí, va letta tutta insieme per vedere come un surrealismo arrivato agli ultimi fuochi si interroga sull’età del rischio atomico. Lo fa ancora in qualche modo in conversazione con le sue radici e con la sua storia, di cui, come questa esposizione ha dimostrato, l’esoterismo e la magia, con approcci diversi a seconda dei diversi artisti ed epoche storiche, sono componenti ineludibili.

Massimo Introvigne (born June 14, 1955 in Rome) is an Italian sociologist of religions. He is the founder and managing director of the Center for Studies on New Religions (CESNUR), an international network of scholars who study new religious movements. Introvigne is the author of some 70 books and more than 100 articles in the field of sociology of religion. He was the main author of the Enciclopedia delle religioni in Italia (Encyclopedia of Religions in Italy). He is a member of the editorial board for the Interdisciplinary Journal of Research on Religion and of the executive board of University of California Press’ Nova Religio. From January 5 to December 31, 2011, he has served as the “Representative on combating racism, xenophobia and discrimination, with a special focus on discrimination against Christians and members of other religions” of the Organization for Security and Co-operation in Europe (OSCE). From 2012 to 2015 he served as chairperson of the Observatory of Religious Liberty, instituted by the Italian Ministry of Foreign Affairs in order to monitor problems of religious liberty on a worldwide scale.


