L’alchimia finì per acquisire un ruolo sempre più importante nelle opere dei surrealisti, e non soltanto come simbolo.
di Massimo Introvigne
Articolo 2 di 2. Leggi l’articolo 1.
Continua con questo secondo articolo la pubblicazione di una trascrizione solo lievemente rivista dei miei commenti in una passeggiata per la mostra “Surrealismo e magia. La modernità incantata”, aperta fino al 26 settembre 2022 alla Collezione Peggy Guggenheim di Venezia. Sono tratti da un documentario della Società dello Zolfo, che per cogliere appieno il senso del racconto raccomando di guardare.
Una sala della mostra è dedicata a Kurt Seligmann (1900-1962), uno svizzero di Basilea, che pubblicò negli Stati Uniti nel 1948 un libro che fu particolarmente influente sui surrealisti, “Lo specchio della magia”. Nel suo quadro “Bafometto” chi si interessa all’esoterismo farà un po’ di fatica a riconoscere – a meno di aver letto prima il titolo del dipinto – il personaggio principale con il braccio levato.
C’è una trasfigurazione tipica del surrealismo, ma si tratta proprio dell’immagine del Bafometto di Éliphas Lévi (1810-1875) in “Dogma e rituale dell’alta magia”. Siamo naturalmente sempre in un ambito surrealista, in cui il Bafometto di Éliphas Lévi per Seligmann diventa un invito ad andare oltre e, come avrebbe detto Breton, “rendere noto l’ignoto”. Si tratta di esplorare dimensioni, siano semplicemente inconsce o genuinamente preternaturali o soprannaturali, che vanno al di là di quanto il razionalismo o la vita di tutti i giorni ci propongono.
La mostra poi torna a Leonora Carrington con una statua che espose come “Cat Woman”, che sembra quasi un’allusione ai fumetti ma in realtà è la dea egiziana della fertilità Bastet. Sono passati dieci anni dalla relazione con Max Ernst, e Leonora Carrington vive in Messico. E in Messico Leonora Carrington vive un momento nella storia del surrealismo in cui si è realizzata la transizione dall’esoterismo come metafora all’esoterismo come plesso di credenze su cui si impegna la propria vita.
Quello che è avvenuto è stato l’incontro con le teorie di George Ivanovich Gurdjieff (1866?-1949) tramite Pyotr Demianovich Ouspensky (1878-1947), e in particolare il gruppo di Rodney Collin (1909-1956). Due artiste amiche tra loro, Remedios Varo (1908-1963) e Leonora Carrington, entrano in un percorso in cui l’esoterismo presuppone anche l’adesione a strutture esoteriche, in questo caso quelle della linea Gurdjieff-Ouspensky.
Si è compiuto un cammino. All’inizio, come aveva detto Breton, l’esoterismo era un gioco da cui andavano tolti il soprannaturale e gli spiriti perché funzionasse. Qui però a furia di giocarci, il soprannaturale ritorna davvero e in questo secondo periodo del surrealismo vediamo artisti che abbracciano l’esoterismo fino a fare parte di movimenti esoterici.
Fra le artiste meno conosciute del surrealismo, la mostra ci propone qualche pezzo di Dorothea Tanning, che è la la quarta moglie di Max Ernst, forse rispetto alle altre due compagne dell’artista presentate nell’esposizione – Leonora Carrington e Peggy Guggenheim – la meno conosciuta. Attraverso Dorothea Tanning e altre artiste – per esempio Leonor Fini (1907-1996) – la curatrice vuole mettere in luce l’importanza delle donne nel surrealismo, e anche nella magia: la donna come custode di un rapporto privilegiato con la dimensione magica ed esoterica.
A un certo punto però il visitatore si trova di fronte a un quadro che sembra uscire dal percorso, una delle versioni di “La magia nera” di René Magritte (1898-1967). Sembra un’anomalia, perché Magritte ha avuto meno contatti con il mondo dell’esoterismo rispetto ad altri artisti qui rappresentati. Ma è anche vero che Magritte ci dà una delle più famose e delle più spettacolari raffigurazioni del rapporto fra la donna e la dimensione magica.
Assistiamo infatti letteralmente alla trasfigurazione della carne, della carne femminile, che diventa cielo. Tuttavia, il titolo che Magritte dà a quest’opera è “La magia nera”, un titolo che mostra come l’artista non volesse abbracciare il mondo dell’esoterismo, forse ne avesse anche un po’ paura e volesse tenere una certa distanza.
Abbiamo visto come Leonora Carrington e Remedios Varo abbiano incontrato il mondo dei gruppi ispirati a Gurdjieff, particolarmente nel loro periodo messicano. Tuttavia molto prima, negli anni 1930 a Parigi, due surrealisti latinoamericani – il cubano Wilfredo Lam (1902-1982) e il cileno Roberto Sebastián Matta (1911-2002) – avevano cominciato a leggere Gurdjieff e a cercare contatti con i suoi discepoli.
Lam rappresenta un caso particolare, perché sente molto profondamente le tradizioni della sua terra di origine, Cuba. Mette insieme la fascinazione surrealista per la magia con quella per i culti afrobrasiliani, in particolare la Santeria. Il titolo dell’opera di Lam “Zambezia, Zambezia” allude anch’esso alle tradizioni africane che gli schiavi avevano portato a Cuba.
A mio avviso, insieme a “Gli amanti” di Brauner, su cui torneremo, una delle opere più significative che la mostra ci propone è il dipinto di Leonora Carrington “I piaceri di Dagoberto”. Ci sono molti temi che si intersecano. C’è la leggenda del re di Francia Dagoberto I (603-639), presentato come – il paragone calza perché siamo a Venezia – una sorta di Giacomo Casanova (1725-1798), ma con un po’ d’ironia. Dagoberto avanza su un carro un po’ da operetta o da carnevale tirato da un bambino.
Quello che sembrerebbe un racconto picaresco o a sfondo erotico, diventa invece un percorso alchemico, un’avventura di congiunzione fra l’uomo e la donna che diventa erotismo sacro: un’alchimia, ma un’alchimia interna che ci porta verso l’illuminazione tramite la sessualità. Il quadro è un microcosmo, che ci ripropone l’intero percorso alchemico.
Nella stessa sala la mostra ripropone Victor Brauner, con un quadro che si chiama “La pietra filosofale”. Il percorso ci invita a soffermarci sulla data di questo quadro, che è molto importante: è il 1940. Nel 1938 Brauner, trovandosi in mezzo a una rissa fra due persone che si lanciano degli oggetti, perde un occhio. Brauner aveva spesso dipinto dei personaggi monocoli e aveva avuto delle strane premonizioni sull’importanza delle persone con un occhio solo.
Nel 1938, quando gli capita questa disgrazia, si convince che il mondo preternaturale esiste e che gli ha inviato dei messaggi preannunciandogli che avrebbe perso un occhio. Non solo ci crede Brauner, ma ci credono molti altri surrealisti suoi amici, che cominciano a convincersi che non si tratta solo di metafore, di un bel linguaggio dell’inconscio: delle forze, delle energie sconosciute esistono.
Prima del famoso incidente del 1938 prevale, anche se ci sono eccezioni, l’approccio “bretoniano” alla magia come linguaggio metaforico, che andrebbe liberato dalla credenza superstiziosa in quell’“anfitrione immaginario” rappresentato dalle divinità o gli spiriti. Dopo il 1938, in molti surrealisti prevale l’idea che qualche cosa di vero c’è ed è interessante andare alla ricerca di maestri, per esempio nella tradizione di Gurdjieff, che ci possano dire qualcosa di questo mondo occulto.
Ne vedremo altri esempi nel terzo articolo della serie.