BITTER WINTER

Perché i media odiano le “sette”

by | Sep 22, 2022 | Documents and Translations, Italian

O forse non odiano nessuno. Semplicemente, sanno che i presunti “scoop” che collegano la religione a denaro, potere e sesso vendono sempre.

di Massimo Introvigne

Read the original article in English.

Fake “stamps” of the Luther Blissett project. From Twitter.
Falsi “francobolli” prodotti dal progetto Luther Blissett. Da Twitter.

Correva l’anno 1997. In Italia imperversavano violente campagne mediatiche contro le “sette”. Un’organizzazione antisette fino ad allora sconosciuta denominata “Cosamo” iniziò a far circolare comunicati stampa in cui asseriva di avere prove inconfutabili di crimini commessi da alcune “sette”. L’organizzazione inviò a diversi media locali le sequenze di un video che mostrava parti di un “rituale” in cui gli “adepti” di una “setta” molestavano delle ragazzine. La campagna finì per suscitare interesse a livello nazionale, e una delle principali emittenti televisive italiane affermò di essere pronta a trasmettere il video nella sua interezza, se Cosamo glielo avesse recapitato. La misteriosa organizzazione Cosamo, che comunicava soltanto lasciando messaggi nelle buche delle lettere, rispose affermando di non poter fornire il video ma di essere tecnicamente in grado di mostrarlo durante la trasmissione, in diretta. Naturalmente, se le immagini fossero apparse troppo esplicite, l’emittente sarebbe stata libera di interrompere la diretta in qualsiasi momento.

Alla fine l’emittente accettò le condizioni poste da Cosamo, e il sensazionale video fu mandato in onda durante un programma televisivo nazionale. Nel video, alcuni “adepti” della “setta” mascherati circondavano una ragazzina legata e imbavagliata, apparentemente pronti ad abusare di lei e forse persino a ucciderla. Ma quando ormai gli spettatori si aspettavano il peggio, e prima che l’emittente riuscisse a interrompere la trasmissione, la ragazza si alzò e cominciò a ballare con gli “adepti”, cantando una canzoncina che derideva la dabbenaggine dei media.

Non esisteva alcuna organizzazione antisette dal nome “Cosamo”. Si scoprì che l’intera faccenda era una burla organizzata da un gruppo che si faceva chiamare “Luther Blissett” (il nome di un giocatore di calcio famoso per la sua incapacità). “Luther Blissett” aveva già acquisito una certa notorietà per alcuni scherzi che mettevano a nudo la credulità dei media. Naturalmente, la burla stessa diventò oggetto di notizia, e i mezzi d’informazione italiani scrissero di aver imparato la lezione e che in futuro sarebbero stati più cauti prima di credere ad accuse sensazionalistiche nei confronti delle “sette”. Purtroppo si dimenticarono presto sia della vicenda sia della lezione che avrebbero dovuto apprendere.

Nel 2018 lo studioso statunitense W. Michael Ashcraft ha pubblicato quello che è diventato il testo accademico di riferimento per la storia degli studi sui nuovi movimenti religiosi. Ashcraft ha descritto lo sviluppo di questo sottocampo accademico, che si era in gran parte formato sin dagli anni ’80 a partire dall’idea che quella di “setta” non fosse una categoria valida bensì un’etichetta utilizzata per calunniare le minoranze malviste, che il brainwashing (lavaggio del cervello) fosse una teoria pseudoscientifica usata come arma per raggiungere il medesimo scopo, e che i racconti degli ex membri apostati – cioè una minoranza di ex membri divenuti oppositori militanti delle religioni che avevano abbandonato – dovessero essere valutati con cautela e non potessero essere impiegati quale principale fonte d’informazioni circa i movimenti cui gli ex membri erano appartenuti.

William Michael Ashcraft affronta il tema delle sette nel suo fondamentale volume del 2018.
William Michael Ashcraft e il suo fondamentale volume del 2018.

Ashcraft osservava che la stragrande maggioranza degli studiosi che si occupavano dei nuovi movimenti religiosi conveniva con tali nozioni, mentre una ristretta minoranza, in dissenso rispetto alla posizione maggioritaria, sosteneva i movimenti antisette e gli apostati, e aveva creato un gruppo separato di “studi sulle sette” il quale asseriva che queste fossero un fenomeno diverso rispetto alle religioni vere e proprie e praticassero il lavaggio del cervello. Gli “studi sulle sette” – scriveva Ashcraft – non erano mai stati accolti nell’ambito degli “studi scientifici accettati”. Proseguivano come “un progetto condiviso da una cerchia ridotta di studiosi militanti” ma non ricevevano il sostegno della “parte maggioritaria della comunità accademica a livello nazionale e internazionale”. Coloro che si occupano di “studi sulle sette” vivono nella propria bolla; solo raramente partecipano a convegni accademici sui nuovi movimenti religiosi organizzati dalla parte maggioritaria degli studiosi e altrettanto raramente le loro pubblicazioni appaiono nelle riviste più prestigiose del settore.

Ashcraft, tuttavia, ha anche notato un fenomeno peculiare che è degno, di per sé, di un approfondimento a livello accademico. Pur rappresentando una ridotta e criticata minoranza nel contesto universitario, gli studiosi della minoranza che aderisce al modello degli “studi sulle sette” sono citati dai media come “esperti di sette” più spesso dei loro colleghi dell’ala maggioritaria. Più in generale, i militanti antisette e gli ex membri apostati giocano un ruolo sproporzionatamente più rilevante quali fonti delle informazioni che vanno poi a formare i resoconti diffusi dai media sui gruppi etichettati come “sette”. Gli studiosi maggioritari sono spesso ignorati, così come sono ignorati quei membri che rimangono nei movimenti religiosi e sono felici della propria condizione. Inoltre, spesso accade che i rappresentanti delle “sette” siano chiamati da cronisti che stanno per pubblicare un articolo dal tenore negativo, che sia loro chiesto a bruciapelo: “Cosa avete da dire a vostra difesa?”, e che si richieda che rilascino una dichiarazione in poche ore, il che, ovviamente, è solo una caricatura di un giornalismo imparziale.

Esistono numerosi esempi di questo atteggiamento. Un caso eclatante è rappresentato dalla serie di podcast recentemente prodotta dal giornale inglese The Telegraph, incentrata sui Testimoni di Geova e gli abusi sessuali. I podcast includono una registrazione di meno di trenta secondi in cui Zoe Knox, una nota studiosa, parla brevemente di alcune credenze dei Testimoni di Geova. Dopo questa brevissima e accessoria apparizione di Knox, il narratore esprime l’opinione del Telegraph secondo cui “Prescindendo dagli accademici, i veri esperti in questo campo sono coloro che ne hanno esperienza diretta: gli ex testimoni di Geova”. Per “ex testimoni di Geova” il Telegraph intende gli apostati.

Le mie critiche alla serie del Telegraph sono state discusse in un forum online di ricercatori che si occupano dei Testimoni di Geova. George Chryssides, senza dubbio il maggiore studioso britannico dei Testimoni di Geova, ha rivelato di essere stato intervistato a lungo dal Telegraph, ma non una sola parola della sua intervista è stata inclusa nel podcast. Semplicemente, Chryssides non ha detto quello che il giornale voleva sentire.

Da parte loro, i Testimoni di Geova sono riusciti a far sì che una testata italiana (L’Indro) e due norvegesi (Fosna-Folket e Vårt Land) fossero sottoposte a censura da parte degli ordini dei giornalisti; ma questo non è stato sufficiente a far cessare le campagne diffamatorie e ha avuto luogo troppo tardi. Gli avvocati sanno che, notoriamente, quelle per diffamazione sono cause difficili. Inoltre durano anni, e persino una sentenza favorevole che arriva però quando l’articolo originario ha ormai prodotto effetti diffamatori non è di grande utilità.

Le Linee Guida dell’OSCE (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa) del 2019 sulla libertà di religione o convinzione e sicurezza fanno trasparire una certa consapevolezza del problema. Chiedono che i media compiano “ogni sforzo per promuovere il rispetto per la diversità di religione e convinzione, impegnandosi a trasmettere informazioni e rappresentazioni imparziali e corrette delle diverse religioni e convinzioni contrastando stereotipi negativi e pregiudizi”. “Diffondendo narrazioni positive di tutte le comunità di religione o convinzione”, ha scritto l’OSCE, “ed evitando stereotipi negativi e discriminatori, [i media] possono contribuire ad alimentare un dialogo sociale più tollerante radicato nelle esperienze di vita reale delle persone e delle comunità, senza ignorare le sfide esistenti. Difatti, i media sono i soggetti principalmente coinvolti nello sviluppo di un pensiero critico e di un dibattito pubblico sulla convivenza tra persone di diversa religione e convinzione”.

Ignorate: le Linee guida dell’OSCE del 2019 sulla libertà di religione o convinzione e la sicurezza.
Ignorate: le Linee guida dell’OSCE del 2019 sulla libertà di religione o convinzione e la sicurezza.

Questo non è mai avvenuto. Anzi, i pregiudizi dei media nei confronti delle “sette” sono peggiorati. Perché? Non c’è una risposta univoca. Ovviamente, esistono potenti lobby antisette, spesso sostenute da governi che si trovano a dover giustificare le proprie misure repressive, e rispetto agli studiosi esse sono più ricche, potenti e organizzate. Più in generale, sin dai tempi delle gazzette anticattoliche in voga durante la Rivoluzione Francese, le storie sensazionalistiche che hanno come oggetto la religione vendono sempre, ancor più se condite da narrazioni, vere o false che siano, incentrate sugli abusi sessuali commessi dagli esponenti religiosi e sul denaro da essi avidamente accumulato. Potere, denaro e sesso vendono per definizione. È un problema generale di cui soffre un sistema mediatico governato dallo share e dai profitti anziché dall’obiettività e dalla verità. Il fatto che un sacerdote o un pastore sia un molestatore di ragazzini fa incrementare le vendite. Il fatto che dedichi con sincerità la propria vita al benessere e all’educazione dei giovani non fa vendere più giornali.

Riformare il sistema mediatico è impossibile oppure, alternativamente, è un progetto a lungo termine. I movimenti religiosi ingiustamente etichettati come “sette”, e gli studiosi consapevoli del fatto che, per la maggior parte, le accuse contro tali movimenti sono false, ovviamente devono reagire. Tuttavia, sarebbe bene che rileggessero “L’arte di ottenere ragione”, un testo sorprendentemente moderno che il filosofo tedesco Arthur Schopenhauer scrisse nel 1831. Quasi anticipando i moderni media, Schopenhauer elencò una serie di espedienti utilizzati per far prevalere una teoria falsa. Le informazioni false sono diffuse giocando sui pregiudizi dei lettori e contando sul fatto che poche persone leggeranno una smentita.

Secondo una vecchia battuta che circolava nelle redazioni dei giornali “una smentita è una notizia data due volte”, dal momento che il semplice fatto di smentire un’accusa non funziona mai. Dire “Noi non molestiamo i bambini” non fa che consolidare nel pubblico l’idea che chi lo dice sia in qualche modo implicato nelle molestie sui bambini. Come ha insegnato Schopenhauer, l’argomentazione dovrebbe essere totalmente ribaltata, non solo opponendo una difesa, ma anche impostando il discorso su chi sono gli accusatori, che cosa li spinge ad agire, chi siamo noi e sul perché, in realtà, siamo noi a trovarci a un livello morale superiore. Una strategia difficile; ma nessuna guerra mediatica è mai stata vinta facilmente.

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