Il segretario dell’Associazione spagnola delle vittime dei Testimoni di Geova è stato giudicato colpevole di aver violato il diritto all’onore dell’organizzazione religiosa ed è stato condannato a pagare danni per 5.000 euro.
di Massimo Introvigne
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C’è un nuovo gioco tra gli attivisti anti-sette. Dichiarano che hanno vinto le cause contro i Testimoni di Geova anche quando le perdono.
Lo strano gioco iniziò nel 2020, quando la FECRIS, organizzazione con sede in Francia che raggruppa movimenti anti-sette europei, perse una causa storica presso il Tribunale distrettuale di Amburgo (Germania) e fu dichiarata colpevole di 18 addebiti per aver mosso accuse infondate nei confronti dei Testimoni di Geova. Il 24 maggio 2021, Bitter Winter pubblicò un commento sul verdetto. Il 30 maggio 2021, cioè sei giorni dopo l’articolo di Bitter Winter, la FECRIS diffuse un comunicato stampa sul caso.
Nel comunicato stampa, la FECRIS affermava falsamente di aver vinto una causa che in realtà aveva perso. Dal momento che i Testimoni di Geova avevano sostenuto che 32 dichiarazioni della FECRIS fossero di natura diffamatoria, e poiché il tribunale ne aveva ritenute diffamatorie 17, mentre una era stata ritenuta parzialmente diffamatoria e 14 erano state considerate non diffamatorie, la FECRIS affermò di aver difeso con successo le proprie ragioni ad Amburgo. Ovviamente questo non era accaduto, come dimostra il fatto che è stata la FECRIS a essere condannata a risarcire i Testimoni di Geova, non viceversa. In seguito, i documenti ottenuti da Bitter Winter hanno dimostrato che durante una riunione interna la FECRIS aveva ammesso di aver perso la causa.
Gli avvocati sanno che quelle per diffamazione sono cause difficili. Non tutte le false dichiarazioni costituiscono diffamazione. Alcune affermazioni possono risultare inesatte, ma i tribunali potrebbero considerarle semplici espressioni di un’opinione (e sono indicate in giurisprudenza come “giudizi di valore”) anziché dichiarazioni di fatto, così che esse esulano dall’ambito delle leggi che tutelano il diritto all’onore. Le organizzazioni e i tabloid che ricorrono alla diffamazione sistematica sanno che saranno spesso citati in giudizio per diverse dichiarazioni, e che saranno condannati per alcune e dichiarati non colpevoli per altre. La loro strategia è normalmente quella di minimizzare le sentenze negative e di accreditarsi la vittoria quando solo alcune delle dichiarazioni per le quali sono stati citati in giudizio, ma non tutte, sono ritenute diffamatorie, il che avviene comunemente anche nelle cause di diffamazione dall’esito migliore. Sosterranno falsamente che, nei casi in cui alcune delle loro dichiarazioni siano state ritenute non diffamatorie, i tribunali avrebbero “certificato” che esse sono “vere”, mentre in realtà una dichiarazione può essere imprecisa e al contempo esclusa dall’ambito della diffamazione o della violazione del diritto all’onore.
La strategia è stata ora reiterata in Spagna dall’Associazione spagnola delle vittime dei Testimoni di Geova (AEVTJ), il cui segretario, Enrique Carmona, è stato giudicato colpevole di aver violato il diritto all’onore dei Testimoni di Geova con una sentenza emessa il 25 ottobre 2023 dal Tribunale di primo grado numero 1 di Torrejón de Ardoz. La sentenza è soggetta a ricorso.
Il tribunale ha ritenuto che alcune “espressioni del video intitolato ‘Presentazione dell’Associazione spagnola delle vittime dei Testimoni di Geova’ caricato sul suo canale YouTube costituiscono un’interferenza illegale nel diritto fondamentale all’onore del querelante [cioè dei Testimoni di Geova spagnoli]. La convenuta è condannata al pagamento di 5.000 euro per i danni subiti dal querelante in conseguenza della suddetta intromissione” (p. 13 della sentenza).
Nella sentenza si rileva che nel video “l’imputato definisce l’associazione religiosa querelante come una ‘setta’, come ‘la peggiore delle sette’ e poi come una ‘setta pericolosa’”. Ciò, afferma la corte, è “erroneo, dal momento che i Cristiani Testimoni di Geova sono una confessione religiosa registrata nella Sezione Generale (Religioni Minoritarie), numero di registrazione 000068, del Registro degli Enti Religiosi tenuto presso il Ministero della Giustizia, quindi abbiamo a che fare con una confessione legittimamente riconosciuta nel nostro Paese, come molte altre. Pertanto, classificare l’ente querelante come una setta è errato, poiché, nel contesto del video analizzato, implica attribuirgli tratti perniciosi o dannosi rispetto al resto delle confessioni religiose legalmente stabilite in Spagna” (p. 11).
Peggio ancora, si osserva nella sentenza, il rappresentante dell’Associazione spagnola delle vittime dei Testimoni di Geova “traccia un parallelismo tra i Testimoni di Geova, le sette e le ‘malattie’, e classifica l’organizzazione querelante come una ‘setta pericolosa’, il che, al di là delle opinioni soggettive che alcuni ex membri possono avere, non ha alcuna base oggettiva, e senza dubbio va contro il rispetto pubblico cui ha diritto ogni confessione religiosa legalmente riconosciuta dallo Stato, come nel caso di specie. E c’è di più: l’imputato, alludendo implicitamente al fatto che i Testimoni di Geova (o l’appartenere alla loro confessione) siano una malattia, nel proprio intervento fa addirittura un paragone con ‘i casi di jihadismo e di terrorismo’. Pur riconoscendo che i Testimoni di Geova ‘non sono così’, insiste sul fatto che siano una malattia ‘come il diabete, che le persone vivono con una certa normalità, ma quando si danno pena di ricordarselo si sentono distrutte dentro’” (p. 11).
Quindi, ha affermato la corte, non solo Carmona ha definito i Testimoni di Geova una “setta”, ma anche una “malattia”, “espressione che difficilmente può avere un significato positivo”. È una malattia di cui non sempre ci si rende conto di soffrire, ma “quando ciò avviene, ci si sente distrutti dentro”. Ovviamente, “una tale affermazione non può ricadere nell’ambito della libertà di espressione. Si tratta di termini chiaramente sproporzionati e manifestamente lesivi nei confronti di questa o di qualsiasi altra confessione religiosa legalmente riconosciuta, che ne attentano all’onore e al pubblico rispetto” (p. 11).
In effetti, questa è solo l’ultima delle sentenze a livello internazionale a ribadire che i Testimoni di Geova non sono una “setta” nel senso spregiativo del termine. La Corte europea dei diritti dell’uomo ha stabilito in diverse occasioni che i Testimoni di Geova sono una “confessione cristiana ben nota … [che ha] stabilito una presenza attiva in molti paesi in tutto il mondo, compresi tutti gli Stati europei che sono ora membri del Consiglio d’Europa” (cfr. ad esempio Corte europea dei diritti dell’uomo, Testimoni di Geova di Mosca c. Russia, n. 302/02, 10 giugno 2010, § 155; Kokkinakis c. Grecia, n. 14307/88, 25 maggio 1993, serie A n. 260-A; Manousakis e altri c. Grecia, n. 18748/91, 26 settembre 1996). È tuttavia improbabile che gli anti-sette spagnoli (tra cui l’avvocato dell’imputato e dell’Associazione spagnola delle vittime dei Testimoni di Geova, Carlos Bardavío, il quale – per quanto strano possa sembrare – a volte viene presentato come “il più grande esperto di sette del mondo”) alla fine ammettano di aver torto.
Infatti, incredibilmente, l’Associazione spagnola delle vittime dei Testimoni di Geova e il suo legale, Carlos Bardavío, hanno affermato sui social media di aver vinto la causa (si veda l’immagine 3). Nei casi di diffamazione, esiste una prova chiara per capire chi ha vinto e chi ha perso. Chi vince riceve un indennizzo. Chi perde lo paga. In questo caso, Carmona è stato condannato a pagare 5.000 euro ai Testimoni di Geova, il che avrebbe dovuto chiarire la questione una volta per tutte.
Come accennato sopra, nella maggior parte dei casi simili i querelanti presentano un elenco di dichiarazioni che secondo loro avrebbero violato il loro diritto all’onore e al buon nome. Nei casi in cui a vincere sono i querelanti, i tribunali indicano come lesive alcune dichiarazioni, ma di norma non tutte. Ancora una volta, si può riconoscere facilmente chi ha “vinto” la causa guardando chi deve pagare i danni.
Un errore comune è quello di credere che quando un tribunale definisce un’affermazione come non lesiva in qualche modo la certifica anche come vera. Non è così. Ad esempio, se qualcuno sostenesse che io non sono italiano bensì americano, l’affermazione, benché forse formulata a fini malevoli, verrebbe probabilmente definita da un tribunale come non lesiva del mio onore. Tuttavia, l’affermazione rimarrebbe falsa.
Purtroppo, anche alcuni media spagnoli sembrano credere che, dal momento che la corte non ha considerato alcune dichiarazioni dell’Associazione spagnola delle vittime dei Testimoni di Geova come formulate in un modo che viola i diritti all’onore dell’organizzazione religiosa, il giudice le abbia dichiarate vere. Questa è un’impressione creata sui social media dalla stessa associazione anti-Testimoni di Geova, ma è falsa. Si sostiene, ad esempio, che “il 99% delle affermazioni” fatte nel video siano state “approvate” dal tribunale. Non è così.
Ad esempio, l’Associazione sottintende che, non essendo stata sanzionata per le frasi in cui suggeriva che i Testimoni di Geova nascondono gli autori di abusi sessuali sui minori, le sue dichiarazioni in merito sono state certificate come vere dal tribunale. Ma questo non è ciò che dice la sentenza. In realtà, la Corte afferma che “sebbene forse le parole del signor Carmona nel suo intervento siano un po’ eccessive, egli non imputa all’ente querelante l’esecuzione di uno schema manipolatorio volto a impedire attivamente che gli abusi sessuali sui minori siano portati all’attenzione delle autorità”. In altre parole, se Carmona avesse fatto un’accusa del genere, allora sarebbe stata giudicata diffamatoria. È importante sottolineare come il giudice chiarisca che le prove hanno dimostrato che mai ai Testimoni di Geova viene impedito di rivolgersi alla polizia o alle autorità giudiziarie per denunciare crimini come gli abusi sessuali. Il modo in cui i tribunali ecclesiastici interni ai Testimoni di Geova gestiscono i casi di abusi sessuali allo scopo di disassociare i colpevoli e il fatto che i Testimoni denuncino o meno tali casi alle autorità secolari sono due questioni diverse che non dovrebbero essere confuse l’una con l’altra, ha affermato la corte.
Inoltre, la sentenza spiega che “ci sono due sfere di azione o di intervento dell’ente religioso: quella interna, che attiene alla libertà di autoregolamentazione che tutte le religioni hanno al fine di affrontare tali questioni (compreso il modo in cui gestire o sanzionare un presunto abuso sessuale tra i membri), e quella esterna, per la quale… mai ai testimoni di Geova viene impedito (né la parte avversa chiarisce come potrebbe essere impedito) di recarsi presso la polizia o presso le autorità giudiziarie per denunciare gli abusi. Si tratta di sfere diverse e parallele che possono coesistere perfettamente. È irrilevante per il caso in questione che esista o meno una sorta di tribunale ‘ecclesiastico’ che giudichi queste questioni a livello interno, perché ciò non impedisce che ci si possa e ci si debba, se necessario, rivolgere alla polizia o all’autorità giudiziaria” (p. 9). Non è vero, ha aggiunto la corte, che i Testimoni di Geova sono “costretti a mentire alle autorità giudiziarie”, come dimostra il fatto che nei loro confronti “non esistono condanne per reati di ostruzione alla giustizia” (p. 10).
Il giudice ha tratto una conclusione simile per quanto riguarda il cosiddetto “shunning”, o ostracismo, cioè l’insegnamento dei Testimoni di Geova secondo cui i membri dovrebbero evitare l’interazione sociale con ex membri che sono stati disassociati per aver commesso gravi trasgressioni e non aver mostrato pentimento, o che hanno lasciato pubblicamente e formalmente la loro organizzazione. (I parenti conviventi non sono evitati, né lo sono coloro che semplicemente diventano inattivi e non partecipano più alle attività dell’organizzazione, senza dissociarsi pubblicamente da essa.)
Il giudice non ha ritenuto che l’affermazione di Carmona contro questa pratica avesse un carattere tale da configurare una violazione del diritto all’onore dei Testimoni di Geova. Ancora una volta, ciò non significa che la corte sia d’accordo con Carmona, il quale ha asserito che si tratta di una pratica illegale. Al contrario, la corte ha ribadito la conclusione di buon senso secondo cui “se una persona decide di smettere di parlare o di trattare con un’altra persona, questo fa parte della libertà che tutti gli individui hanno di relazionarsi con chi vogliono” (p. 10). Più specificamente, il giudice ha stabilito che “se qualcuno sceglie di ignorare un’altra persona o di rifiutare il contatto con essa, si tratta di una scelta personale, e se la confessione religiosa impone questo fatto sul piano morale (cosa che anche i testimoni del querelante hanno confermato in una certa misura), esso atterrebbe alle norme religiose che i membri accettano, liberamente, quando decidono di aderire all’organizzazione o di restarvi. Tracciare un collegamento tra questo stato di isolamento sociale e un ‘danno mentale’ potrebbe essere appropriato se il riferimento è a una sofferenza personale che risulta logica nel momento in cui una persona constata che coloro che una volta le parlavano ora non lo fanno più. Ma questo non giustificherebbe l’attribuzione della maggiore responsabilità all’ente religioso o ai suoi membri, i quali non fanno altro che seguire i propri dogmi e princìpi, il che attiene alla loro libertà religiosa” (p. 10).
Riassumendo, la sentenza ha ritenuto il rappresentante dell’Associazione spagnola delle vittime dei Testimoni di Geova colpevole di aver violato il diritto all’onore dei Testimoni di Geova perché li ha definiti una “setta”, cosa che il tribunale ha detto che non sono, e lo ha condannato a pagare 5.000 euro di danni. Sebbene non abbia concluso che le dichiarazioni di Carmona sull’abuso sessuale e lo “shunning” equivalessero chiaramente a una violazione del diritto all’onore, la corte ha stabilito con molta chiarezza che i Testimoni di Geova non proteggono dalla giustizia chi perpetra abusi, non impediscono ai loro membri di denunciare gli abusi sessuali alle autorità secolari, e hanno il diritto di insegnare e praticare lo “shunning”, il che attiene alla loro libertà di religione.
Se per la fazione anti-Testimoni di Geova questa è una “vittoria”, allora forse anche Napoleone ha vinto a Waterloo. Sono sicuro che, per il futuro, i Testimoni di Geova augurerebbero agli anti-sette molte felici “vittorie” dello stesso genere.