BITTER WINTER

Una dichiarazione del 2018 del defunto studioso chiarisce varie questioni relative alla Chiesa e ai suoi rifugiati in Occidente.

di PierLuigi Zoccatelli

PierLuigi Zoccatelli (1965-2024) interviene a una tavola rotonda sulla Chiesa di Dio Onnipotente a Roma il 6 aprile 2019. A destra il direttore di “Bitter Winter” Massimo Introvigne.
PierLuigi Zoccatelli (1965-2024) interviene a una tavola rotonda sulla Chiesa di Dio Onnipotente a Roma il 6 aprile 2019. A destra il direttore di “Bitter Winter” Massimo Introvigne.

Mi chiamo PierLuigi Zoccatelli, nato a Verona il 30 luglio 1965 e residente a Torino, Corso Orbassano 72. Sono professore di Sociologia delle Religioni alla Pontificia Università Salesiana di Torino. Sono membro dell’Associazione Italiana di Sociologia, Sezione Religioni, e di altre associazioni accademiche. Ho scritto numerosi articoli e tenuto un buon numero di lezioni e relazioni sul tema dei nuovi movimenti religiosi, compresa la Chiesa di Dio Onnipotente (in inglese Church of Almighty God, in abbreviazione CAG). Sono autore della voce “Chiesa di Dio Onnipotente” nella nota enciclopedia delle religioni online Enciclopedia delle religioni in Italia, e ho coordinato e introdotto un numero speciale sulla Chiesa di Dio Onnipotente della rivista accademica The Journal of CESNUR, che è in corso di pubblicazione.

Come sociologo, un altro settore oggetto dei miei studi è l’immigrazione. Sono tra i collaboratori del Dossier statistico Immigrazione, pubblicato annualmente e unanimemente considerato la più autorevole fonte di dati sull’immigrazione in Italia. Nel 2010, con quattro colleghi sociologi, sono stato autore del libro Cinesi a Torino. La crescita di un arcipelago, pubblicato dalla più importante casa editrice italiana nel settore della sociologia, Il Mulino. Il libro esamina gli immigrati cinesi a Torino e in altre città, e affronta tra l’altro il problema dei loro ingressi regolari o clandestini in Italia. Il libro ha anche un capitolo sui membri di organizzazioni criminali in Cina e su come sono riusciti a entrare in Italia, spesso con documenti validi. In seguito, ho continuato a studiare l’immigrazione cinese e a seguire la letteratura accademica in questo settore. Ho anche collaborato con l’UNICRI, l’Istituto delle Nazioni Unite per la Ricerca sulla Criminalità, che ha la sua sede internazionale a Torino, in particolare collaborando a un progetto sulle società segrete criminali cinesi e sugli spostamenti transfrontalieri dei loro membri.

Durante le nostre ricerche per il libro del 2000, abbiamo intervistato immigrati cinesi e funzionari specializzati della polizia italiana. Ho condotto altre interviste su questi temi anche in seguito, compresa una a una donna ufficiale di polizia cinese che in seguito ha lasciato il suo lavoro ed è emigrata all’estero. Già nel 2010, eravamo arrivati alla conclusione che criminali con una pesante fedina penale riuscivano a emigrare all’estero procurandosi passaporti che in teoria non avrebbero potuto ottenere, o sfruttando falle del sistema informatico cinese oppure corrompendo funzionari.

Anche se le fonti ufficiali cinesi amano sostenere il contrario, oltre alle interviste ho consultato un’ampia letteratura accademica sulla corruzione in Cina, da cui risulta con chiarezza che il sistema informatico centrale cinese che dovrebbe includere le fedine penali dei cittadini ha una serie di problemi e malfunzionamenti, e anche che i passaporti possono essere venduti e comprati. In quest’ultimo caso il fatto che il sistema informatico cinese comprenda, o dovrebbe comprendere, le impronte digitali e altri dati biometrici può essere superato perché un funzionario corrotto ignorerà o altererà questi dati. Il fatto che criminali con una grave fedina penale abbiano potuto uscire tranquillamente dalla Cina conferma pure che non esiste nessun controllo delle impronte digitali ai posti di frontiera negli aeroporti.

Abbiamo anche accertato che le grandi società segrete criminali (spesso chiamate, in modo più o meno preciso, “triadi” o “mafia cinese”) operano in Cina nonostante la presenza di un massiccio apparato di polizia, e che le autorità riescono a identificare solo una certa percentuale dei loro affiliati. Gli altri rimangono ignoti alla polizia, con una fedina penale immacolata.

A questo punto voglio sottolineare con vigore che non mi passerebbe mai per la testa di paragonare gruppi religiosi messi al bando dal governo cinese ma sostanzialmente pacifici come la Chiesa di Dio Onnipotente con le società segrete criminali cinesi. Ogni paragone sarebbe offensivo e sbagliato. Ma sono le autorità cinesi a proporre questo paragone. Per loro le società della criminalità organizzata e i gruppi religiosi dissidenti sono entrambi associazioni a delinquere.

Sulla base dei miei studi sia dell’immigrazione cinese sia della Chiesa di Dio Onnipotente (CAG), posso dire di non essere sorpreso dal fatto che molti membri di questa Chiesa non siano mai identificati come tali in Cina e di conseguenza non siano arrestati. È un fatto riconosciuto dalle stesse autorità cinesi. Se crediamo alle loro statistiche, i membri della CAG in Cina sono da tre a quattro milioni, e i membri arrestati sono nell’ordine delle “diverse migliaia” (cfr. il documento riprodotto qui). Le autorità non contestano la cifra fornita dalla CAG, secondo cui solo fra il 2011 e il 2013 i fedeli della Chiesa arrestati sono stati tra 300.000 e 400.000. Questo significa che la polizia ha identificato più o meno un decimo dei membri della CAG, il che è confermato dal fatto che generose ricompense sono pubblicamente offerte ai cittadini cinesi che denunciano fedeli della CAG e danno informazioni che portano al loro arresto. Tra parentesi, questo conferma che i membri della Chiesa che non sono stati identificati corrono il rischio di essere denunciati e arrestati in ogni momento.

Come avviene per altri casi in Cina, la CAG è una grande organizzazione, che riesce a evitare che molti dei suoi membri siano identificati spostandoli continuamente da una città o provincia all’altra. In teoria un cittadino cinese dovrebbe registrarsi nella nuova località di residenza, ma se si sposta spesso in pratica riesce a evitare la registrazione.

Ovviamente, i membri della Chiesa che non sono mai stati identificati come tali non hanno problemi a ottenere passaporti. La domanda è come fanno gli altri membri della Chiesa, quelli che sono stati identificati, arrestati ed eventualmente condannati, a ottenere passaporti e a passare il confine cinese. Conosco le fonti cinesi e le COI (informazioni sul Paese di origine), molte delle quali predisposte dalle autorità canadesi che si occupano di immigrati e rifugiati, disponibili sulla banca dati online Refworld dell’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR). Queste fonti sostengono che i nomi, dati biometrici e impronte digitali delle persone arrestate o condannate sono immessi in una banca dati nazionale informatica chiamata Policenet, che deve essere consultata prima di rilasciare un passaporto. Un documento COI canadese riporta anche le dichiarazioni di un dirigente dell’organizzazione cristiana cinese China Aid, secondo cui i nomi e dati personali (non cita però le impronte digitali) delle persone identificate come partecipanti a una riunione religiosa clandestina sono inserite nella banca dati nazionale della polizia, il che in seguito renderà loro impossibile ottenere un passaporto. Anche a prendere per buone queste dichiarazioni, i membri della CAG riuscirebbero spesso a sfuggire all’identificazione (effettuata senza impronte digitali) perché è loro prassi fornire false generalità alla polizia. Nel caso invece di un arresto formale, i nomi falsi non risolverebbero il problema perché la legge prevede che siano prelevate e archiviate le impronte digitali.

Tuttavia, non bisogna confondere la teoria con la pratica, e questo per diverse ragioni. La prima è che il sistema informatico Policenet non è ancora pienamente a regime. È vero che le remote origini di Policenet risalgono al 2002, ma ancora nel 2012 le autorità si riferivano all’inserimento nel sistema dei dati penali sugli arresti e le condanne come a un progetto per il futuro: “la Cina si doterà di un sistema unificato delle fedine penali che conterrà tutte le informazioni di carattere penale”, affermava l’agenzia di stampa ufficiale Xinhua il 6 luglio 2012, e tutto il contesto dell’articolo rende chiaro che si tratta di un progetto futuro. Questo non contraddice informazioni precedenti secondo cui Policenet era arrivato a funzionare su tutto il territorio cinese. Funzionava, e comprendeva altre informazioni come i certificati di nascita e le cartelle cliniche, ma non comprendeva ancora le informazioni di carattere penale sugli arresti e le detenzioni. Anche dopo il 2012, leggiamo che ogni anno la Cina mette a bilancio somme per arrivare a un sistema di informazioni penali unificate consultabili via Policenet, segno che il sistema non funziona ancora.

In realtà i dati e le impronte digitali degli arrestati sono caricati in Policenet solo nelle città più grandi. Mi è stato anche riferito da ufficiali di polizia che, tranne che in alcune grandi città, il sistema per prendere le impronte digitali ai sospetti è piuttosto antiquato e ha molti difetti. Come conseguenza, capita spesso che persone arrestate rimangano fuori dal sistema Policenet. I miei intervistati hanno pure riferito di errori manuali di caricamento dei dati e di problemi tecnici quando il sistema si aggiorna. L’idea secondo cui il sistema sarebbe onnisciente e infallibile sembra puramente mitologica.

Un altro importante elemento è la corruzione diffusa tra i poliziotti locali. La polizia può decidere di trattenere le persone arrestate in caserma per qualche giorno, dopo di che, se pagano un’ammenda, sono rilasciate. In teoria, le persone che fanno parte di un movimento religioso messo al bando dovrebbero sempre essere condotte davanti al magistrato e incriminate. In pratica, questo va contro l’interesse personale dei poliziotti locali. Se non formalizzano l’arresto, e la persona non è incriminata né rinviata a giudizio, né il suo nome è iscritto in Policenet, ma è semplicemente rilasciata dopo il pagamento di una multa, i poliziotti possono semplicemente intascarsi la multa. Sulla base delle mie interviste, è una cosa che succede spesso. In questo caso, gli arrestati (se “arrestati” è la parola giusta, perché non c’è un verbale dell’arresto) restano fuori da Policenet.

Fino ad ora, ho esaminato due categorie di membri della CAG in Cina: (a) quelli che non sono mai stati identificati come membri della Chiesa, e dunque hanno la fedina penale pulita; e (b) quelli che sono stati “arrestati”, ma tuttavia non sono stati inseriti nella banca dati Policenet in quanto il loro arresto non è stato formalizzato (magari perché i poliziotti locali hanno preferito intascare il denaro della multa), o perché l’arresto è avvenuto in una località dove il sistema Policenet non funziona (ancora) per le vicende penali.

C’è anche una terza categoria (c): quella dei membri della CAG così sfortunati da essere stati arrestati, ed eventualmente condannati, in condizioni che hanno permesso di registrare su Policenet il loro nome e le impronte digitali.

Ma anche loro possono procurarsi un passaporto. Lo possono ottenere, anzitutto, se hanno dato un nome falso quando sono stati arrestati e le impronte digitali sono state prese in modo così primitivo da risultare inutilizzabili, o ancora sono state prese ma non sono state caricate su Policenet. I miei intervistati hanno riferito che caricare le impronte digitali su Policenet può avvenire dopo anni, specialmente se – come avviene ancora oggi nelle campagne – sono state prese su fogli di carta e non elettronicamente. In questo caso, se hanno dato un nome falso, possono ottenere un passaporto con il nome vero, e le impronte digitali non sono un ostacolo.

Infine, alcuni possono essere così sfortunati che la polizia è in possesso sia del loro vero nome sia di impronte digitali utilizzabili. La soluzione che rimane loro è corrompere il funzionario di turno. Come accennato, c’è una ricca letteratura accademica sulla corruzione dei funzionari in Cina, e già nella nostra ricerca del 2010 ci eravamo resi conto che i passaporti si possono comprare. Le storie di passaporti cinesi falsi o ottenuti tramite corruzione ricorrono spesso nelle pagine dell’autorevole Handbook of the Chinese Diaspora (Routledge, Londra 2012). Dal momento che le autorità che si occupano di immigrati e rifugiati in diversi Paesi privilegiano le COI disponibili su Refworld rispetto alla letteratura accademica, aggiungo che il 2014 Country Reports on Human Rights Practice-China, pubblicato dal Dipartimento di Stato americano e disponibile su Refworld cita numeri spettacolari sulla corruzione che imperversa tra i funzionari cinesi. Vi si legge che: “La Commissione centrale per le ispezioni disciplinari (CCDI), la principale agenzia del Partito Comunista Cinese per combattere la corruzione fra i suoi membri, riferiva che nel 2013 aveva ricevuto più di 1,95 milioni di denunce per corruzione, aveva indagato su 172.532 casi di corruzione e aveva punito 182.038 funzionari”. Certo, la Cina è grande ma sono comunque numeri da record del mondo.

I membri della CAG che sono stati identificati, arrestati ed eventualmente condannati, i cui nomi e impronte digitali sono nel sistema Policenet (come abbiamo visto, non va dato per scontato che ci siano), in teoria non dovrebbero ottenere un passaporto, ma in pratica non è così difficile trovare un funzionario corruttibile, disponibile a rilasciare comunque il passaporto se il richiedente o i suoi familiari o amici sono pronti a pagare il prezzo pattuito. Se il funzionario è corrotto, anche le impronte digitali non saranno un ostacolo.

Sono anche a conoscenza del fatto che alcune fonti cinesi sostengono che i passaporti ottenuti tramite la corruzione non impediranno che i loro titolari siano fermati alla frontiera quando tenteranno di lasciare la Cina, perché sostengono che negli aeroporti e nei porti i nomi e le impronte digitali sono nuovamente controllate. Con tutto il rispetto, mi sembrano tesi piuttosto insostenibili. Come è emerso ampiamente nella nostra ricerca del 2010 e nelle altre interviste, nei grandi aeroporti cinesi la polizia di frontiera è oberata di lavoro, controlla raramente i nomi e non controlla mai le impronte digitali. Se i passaporti all’apparenza sono validi, e non c’è un particolare comportamento sospetto, è raro che ci siano ulteriori controlli.

Naturalmente, c’è una differenza cruciale tra i criminali e i membri di religioni perseguitate come la CAG. A differenza dei primi, i secondi sono molto riluttanti ad ammettere che si sono procurati un passaporto con mezzi illegali, anche quando è vero, e all’inizio possono offrire versioni diverse. Sono cittadini onesti e riesce loro difficile ammettere di aver commesso un reato, anche se il reato era necessario per salvare la libertà e forse anche la pelle.

Aggiungo che il fatto che membri della CAG siano riusciti a evitare di farsi identificare come tali in Cina e a lasciare il Paese non significa assolutamente che, se dovessero tornare in Cina dopo che una richiesta di asilo sia stata rifiutata, potrebbero continuare a sfuggire ai radar della polizia. Al contrario, già nel nostro libro del 2010 insistevamo sul fatto che le autorità cinesi sorvegliano sistematicamente i cinesi della diaspora. In numerosi documenti ufficiali, le autorità cinesi hanno confermato che i gruppi religiosi messi al bando sono sistematicamente sorvegliati all’estero. La CAG è considerata un nemico pubblico dal governo cinese da molti anni, le sue comunità all’estero sono strettamente sorvegliate, e sono anche abbastanza piccole da rendere facile identificare chi ne fa parte. Inoltre, alcuni membri della CAG all’estero si manifestano su Internet comparendo in video della Chiesa o sui social network, dove proclamano la loro fede nel loro Dio Onnipotente. In sostanza, le autorità cinesi ora sanno chi sono, quand’anche non lo avessero saputo prima. Se questi fedeli della CAG dovessero tornare in Cina, ora il governo saprebbe che sono membri della CAG e dunque sarebbero arrestati. In effetti, emerge dalle mie interviste che membri della CAG che sono stati fatti rientrare in Cina dalla Corea del Sud o dall’Europa sono stati immediatamente arrestati.

Torino, 29 gennaio 2018