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Associazione anti-sette italiana condannata a pagare 35.000 euro per aver diffamato la Soka Gakkai

by | Jul 25, 2025 | Documents and Translations, Italian

Il Tribunale di Firenze ha stabilito il principio fondamentale secondo cui definire un movimento religioso una “setta” costituisce di per sé diffamazione.

di Massimo Introvigne

The headquarters of the Italian branch of Soka Gakkai in Rome.
La sede della filiale italiana della Soka Gakkai a Roma.

Il 16 giugno 2025, il Tribunale di Firenze, con una sentenza i cui motivi sono stati ora pubblicati, ha condannato l’Associazione Italiana Vittime delle Sette (AIVS), una delle principali associazioni anti-sette italiane, e i suoi due leader, a pagare 35.247 euro alla filiale italiana della Soka Gakkai per diffamazione.

I convenuti avevano già risolto in via transattiva una precedente controversia con la Soka Gakkai con una lettera di scuse nel 2020. Tuttavia, questi attivisti anti-sette sono, per definizione, incorreggibili. Nel 2021, l’AIVS e i suoi leader hanno attaccato nuovamente la Soka Gakkai attraverso i social media e interviste a quotidiani italiani.

La filiale italiana della Soka Gakkai ha stipulato un’“Intesa” con il governo italiano nel 2015. Come è noto, “Intesa” è il nome dato in Italia ai concordati con le religioni diverse dalla Chiesa cattolica romana (che ha un “Concordato”). Questi accordi conferiscono alle organizzazioni religiose alcuni vantaggi, tra cui la possibilità per i contribuenti di destinare loro una percentuale delle proprie imposte.

L’AIVS ha affermato che la Soka Gakkai aveva ottenuto l’Intesa corrompendo l’allora primo ministro Matteo Renzi. Il tribunale ha ritenuto diffamatoria tale affermazione e ha constatato l’assenza di prove di corruzione. Inoltre, il procedimento per l’Intesa era stato avviato prima che Renzi diventasse primo ministro. Il deputato che ha presentato la legge di ratifica dell’Intesa faceva parte dell’opposizione al premier Renzi. Il Parlamento ha votato la legge all’unanimità, compresi i gruppi e i partiti che si opponevano più duramente al governo Renzi.

A seguito dell’Intesa, la Soka Gakkai ha iniziato a ricevere dal governo la percentuale delle imposte che le spetta sulla base delle indicazioni dei contribuenti nelle loro dichiarazioni dei redditi. L’AIVS ha affermato che la Soka Gakkai non ha rendicontato come sono stati spesi questi soldi. Il tribunale ha ritenuto questa affermazione una palese menzogna. La Soka Gakkai riferisce regolarmente su come vengono spesi i soldi dell’Intesa. I suoi rendiconti sono anzi considerati esemplari rispetto a quelli di altre religioni.

L’allora primo ministro italiano Matteo Renzi firma l’Intesa con la Soka Gakkai, 27 giugno 2015.
L’allora primo ministro italiano Matteo Renzi firma l’Intesa con la Soka Gakkai, 27 giugno 2015.

In terzo luogo, l’AIVS ha ripetutamente definito la Soka Gakkai una “setta”. In una parte essenziale della sentenza, che potrebbe influenzare casi riguardanti altre minoranze religiose, il tribunale ha affermato che “il termine ‘setta’ ha una indubbia connotazione negativa e già di per sé è offensivo”. La decisione è in linea con la più recente giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, che nel 2022, nella causa “Tonchev c. Bulgaria”, ha stabilito che il termine bulgaro equivalente “sekti” è intrinsecamente offensivo.

La Corte ha ritenuto la critica dell’AIVS particolarmente volgare. L’AIVS ha persino pubblicato un video su YouTube in cui invitava a bruciare l’oggetto principale di devozione della Soka Gakkai, il “Gohonzon”, sostenendo che “porta sfiga”.

La prima pagina della sentenza del 16 giugno 2025 del Tribunale di Firenze.
La prima pagina della sentenza del 16 giugno 2025 del Tribunale di Firenze.

La difesa dell’AIVS era che non aveva inventato il contenuto diffamatorio della Soka Gakkai, ma l’aveva ripreso da fonti straniere anti-sette. Questa difesa ha salvato l’AIVS dalle misure provvisorie richieste dalla Soka Gakkai nel 2022 per fermare la campagna diffamatoria mentre era in corso il procedimento principale. Il tribunale “ritiene di doversi discostare decisamente” da questa decisione provvisoria, ribadendo il principio secondo cui ripetere una diffamazione presa da un’altra fonte è comunque diffamazione. Il fatto che la vittima non abbia citato in giudizio altri che hanno diffuso la diffamazione per primi non autorizza a ripetere le loro dichiarazioni calunniose.

L’importo significativo che l’AIVS dovrà pagare potrebbe forse persuadere gli attivisti anti-sette a essere più cauti in futuro. Tuttavia, il lupo perde il pelo ma non il vizio.

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